L'ultima creazione del Balletto di Roma, “Astor/un secolo di tango” si propone come un viaggio nel mondo musicale di Astor Piazzolla, geniale compositore argentino, omaggiato attraverso la danza in occasione dei cento anni dalla sua nascita. Uno spettacolo capace di condurci dentro l'anima di un artista rivoluzionario, ma anche dentro noi stessi, facendoci scoprire quanto le emozioni del tango siano comuni a tutti noi. A svelarcelo Valerio Longo, coreografo innovativo, che attraverso complessi quadri in movimento, regala al pubblico un concerto danzato intriso di bellezza.
“Astor/un secolo di tango” si rivolge alla danza argentina e a colui che l'ha mutata: Astor Piazzolla. Ci spiega che posto occupa il tango al Balletto di Roma e che valore attribuisce lei a tale genere?
Per quanto mi riguarda non ho velleità di essere un coreografo o un danzatore di tango classico. All'ambientazione del tango sono arrivato attraverso la ricostruzione del percorso storico dell'artista Astor Piazzolla, al quale lo spettacolo è dedicato. Allo stesso modo al Balletto di Roma non esiste un corso di tango, ma esiste certamente una grande apertura ai più disparati generi della danza, che vengono studiati e proposti come esperienze formative agli allievi della scuola, con lo scopo di accrescerne il bagaglio artistico e culturale.
Se dunque il tango non occupa un posto centrale nella sua formazione artistica e non rientra tra le prerogative del Balletto di Roma, com'è nata l'idea di “Astor/un secolo di tango”?
Lo spettacolo nasce dal desiderio di omaggiare un grande artista, che con la sua musica ha rivoluzionato il tango. Una musica che tra l'altro componeva, non per il ballo, ma per il piacere dell'ascolto. “Astor/un secolo di tango” quindi non si pone come obiettivo quello di trattare il tango da un punto di vista danzato, ma secondo il valore dell'artista.
Si propone sostanzialmente come un viaggio attraverso le visioni artistiche e di vita di Astor Piazzolla. C'è da aggiungere però, che tale spettacolo è stato ideato nel periodo pandemico, con anche il duplice intento di creare qualcosa di coraggioso o meglio di mettere in scena il coraggio di continuare a ricercare il contatto umano. E il tango a tal proposito, inquanto danza sofferta, fatta di sguardi e di desiderio di vicinanza, è stato certamente utile per la costruzione di questo messaggio.
Sulla scena, perciò, del tango non restano che il pathos e le meravigliose musiche meticce di Astor Piazzolla, che hanno contribuito ad operare la grande rivoluzione del “Tango Nuevo”. Per il resto, la danza contemporanea si erge a linguaggio espressivo dello spettacolo. È così?
Si, le emozioni e le sonorità sono ciò che tengono legato lo spettacolo al mondo del tango insieme alla preziosa presenza di Mario Stefano Pietrodarchi, che dal vivo esegue le musiche arrangiate da Luca Salvadori, muovendosi sulla scena con il bandonéon e la fisarmonica e dando così vita ad un concerto di danza. Insieme a lui poi sul palcoscenico otto ballerini che si esprimono attraverso il linguaggio della danza contemporanea, tanto è vero che ho tolto loro scarpe e quant'altro, lasciandoli a piedi nudi. Ecco così che il tema del coraggio, inteso qui come coraggio di affrontare un tango con dei danzatori di danza contemporanea, torna sotto un ulteriore aspetto.
Una danza contemporanea peraltro personalissima, fatta di movimenti nuovi ed originali, di incastri di corpi e quadri in movimento innovativi. Ce la racconta?
Un po' come lo spettacolo anche la danza in esso presente è frutto di un viaggio, di un lungo percorso fatto di esperienze che aiutano l'artista a trovare la propria dimensione e a definire il proprio linguaggio. Nel mio stile non c'è niente di stabilito, è sempre tutto in continuo cambiamento e ad ispirarmi sono costantemente i ballerini che ho davanti e la musica. Tendo cioè a far interagire il potenziale del danzatore con le melodie che di per sé suggeriscono un certo tipo di movimento. In generale poi sono attratto dall'estetica del movimento, che considero però un'estetica naturale, non di ricerca, ma di sentire. Non amo i movimenti belli e fine a se stessi, ma tutte quelle sequenze capaci di trasmettere delle emozioni. Ricerco sempre l'empatia tra i corpi, tra i danzatori e il pubblico, proprio attraverso quelle figure o quadri, che emergono anche in “Astor”. Alla base di tutto ciò comunque vige un'enorme complessità, alla quale i ballerini arrivano solo dopo un percorso molto lungo, che insegna loro a sfruttare preparazione e fisicità per esprimere qualcosa.
Una preparazione, sottesa allo studio tecnico della danza classica, che emerge chiarissima ed una fisicità altrettanto ammirabile, evidenziata anche dalla scelta dei costumi: essenziali, simili a “stracci” ma resi elegantissimi dai corpi dei danzatori. Che significato rivestono?
I costumi, realizzati da Silvia Califano, in questo spettacolo sono veramente essenziali proprio per mettere in risalto i corpi magnetici dei danzatori. Addirittura nella mia mente avevo pensato di far indossare loro semplicemente top e culotte, con l'idea di andare in direzione dell'essenza del corpo e delle emozioni. Solo in seguito siamo arrivati a questo compromesso, che risulta assai funzionale anche per affrontare il tema del naufragio dei corpi, in quel mare, il mare della vita, che porta ad affrontare un viaggio interiore, come accaduto per tutti noi durante la pandemia. Allo stesso modo voleva essere anche un richiamo al viaggio di Astor Piazzolla, che attraverso il mare parte e raggiunge con la sua arte diversi luoghi.
Un viaggio che attraverso il mare, sempre presente nel suo fluttuare ed ondeggiare dei corpi, si trasforma in fil rouge di tutto lo spettacolo, conducendoci fin dentro l'anima di Astor Piazzolla e dentro noi stessi. Cos'altro aggiungere?
Solamente che nel mio sentire vige un grande desiderio di comunicare qualcosa e ciò che mi auguro è che la danza possa sempre essere un canale ed un'occasione per portare a riflettere, nello stesso modo in cui spero riesca a fare “Astor/ un secolo di tango”.