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Gaia Straccamore

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21/01/2021
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Personaggi

Una carriera di successi, ruoli di repertorio, innovazioni e crescita sempre attiva, da Prima Ballerina al Teatro dell'Opera di Roma, su proposta di Carla Fracci ad Etoile nel 2014 da Carlo Fuortes.
Oggi Straccamore è tra i docenti della scuola di danza dell'Opera diretta da Laura Comi, e riesce a donare ai suoi allievi tutta la sua impagabile esperienza teatrale.

Quando hai capito che la Danza sarebbe stata sempre con te?

In realtà è stato tutto un normale divenire, un legame che si è stretto sempre di più durante gli anni della mia formazione, tutto in modo automatico e quasi logico. Non c’è stato un preciso momento di consapevolezza in cui ho deciso di vivere con la Danza, è stato un andamento spontaneo e del tutto naturale, come se non potesse essere diversamente.


Quale è stato il momento artistico che ha cambiato decisamente la tua vita? 

Non so se sia stato un momento decisivo di cambiamento, ma sicuramente l’incontro con Vladimir Vassiliev è stato per me una grande spinta motivazionale, cominciando a far crescere in me la consapevolezza delle mie potenzialità.

Lui era Direttore del ballo presso il Teatro dell’Opera di Roma, e mi chiamò dalla scuola di danza, a soli 15 anni, per danzare come prima ballerina nel balletto “Les Sylphides”. Un grande gesto di fiducia nei miei confronti che spero di aver ripagato. Ricordo il suo carisma, i suoi occhi penetranti, magnetici, la sua presenza che divorava tutto ciò che gli era intorno.

Il suo coraggio nello scegliermi mi insegnò molto.


Il tuo mito da piccola danzatrice e il tuo mito da Etoile?

Beh, il lato più affascinante dei miti, è che rimangono tali per sempre, intoccabili e idealizzati. Per me è stato così.

La mia passione per Natalia Makarova è profonda, pura e ben nota a chi mi conosce bene. Sono cresciuta idolatrando e ammirando tutte le sue interpretazioni. Quando ero bambina non c’era ancora internet, Youtube era solo un’idea magica, e quindi ero alla continua ricerca di tutti i vhs dei suoi balletti, interviste, documentari. La conquista della sua Giselle è stata per me un vero successo.

La gioia più grande è stato l’incontro con lei, in una produzione con il Teatro dell’Opera, dove fu chiamata come ospite. Ho scoperto che alla splendida danzatrice si accostava anche una meravigliosa persona, generosa, attenta, ironica, disponibile e rispettosa verso tutti. La sua grandezza di danzatrice e professionista era la completezza del suo animo.

Direi un vero mito da seguire!


Nella carriera di una danzatrice gli elogi e le critiche sono gli ingredienti per andare avanti. Quali sono stati i tuoi?

Direi che le critiche costruttive siano fondamentali, necessarie per la propria crescita sia tecnica che artistica. Ricordo perfettamente tutto ciò che mi è stato detto nel corso degli anni, dai vari maître, coreografi, direttori, imparando a riconoscere pian piano quando la critica era mirata ad aiutarmi, a farmi crescere, a farmi riflettere, e quando invece era solo un giudizio fine a se stesso, a volte superficiale o dettato dall’impulsività non sempre obbiettiva del momento. La critica può essere un momento molto doloroso, intimo, che richiede molta onestà personale. L’umiltà di saperla accettare è fondamentale, diventa una qualità della quale non si può fare a meno. Ragionare sulle critiche per farle diventare motivo di crescita è un passaggio attraverso il quale tutti gli artisti dovrebbero passare.

Allo stesso modo, quindi, gli elogi diventano altrettanto importanti ed essenziali. Sono l’altra faccia della medaglia. Il riconoscimento del proprio lavoro, quando ben fatto, è di primaria importanza, l’apprezzamento e il plauso sono la linfa vitale che ci sprona ad andare avanti. D’altronde, cosa c’è di più bello e di appagante dell’applauso del pubblico alla fine di uno spettacolo? 


Gli incontri più importanti che hanno segnato il tuo percorso artistico ?

Per fortuna sono stati molti, tutti in egual modo importanti per la danzatrice che sono diventata. Mi sento di ringraziarli tutti, ognuno di loro ha contribuito alla mia crescita professionale e artistica. Mi sento però di citare alcuni degli artisti che per me sono stati fondamentali.

La prima fra tutti, Elisabetta Terabust. La prima ad aver creduto in me, ad aver visto in me qualcosa in più, qualcosa di diverso. Mi ha fatto scoprire un aspetto della danza a me del tutto sconosciuto, mi ha donato molta della sua arte.

Grazie a lei, ho conosciuto Floris Alexander, dal NYCB, con il quale ho studiato molti anni alla scuola di danza. Lui è stato la rivoluzione, lo sconvolgimento. Per una ragazza di 13 anni non era così facile e scontato capire ed affrontare un modo di ballare decisamente più estremo ed essenziale allo stesso momento. Penso che Lui sia stato la mia più grande impronta, e l’ho portata con me in tutta la mia carriera.

Poi è arrivata la grande chance con il mito vivente di Vladimir Vassiliev, come ho raccontato prima, la prima occasione per potermi esibire come professionista a soli 15 anni.

In seguito Giuseppe Carbone, il quale, ancora allieva, creò su di me diversi balletti. Molto paterno e carico di fiducia, mi responsabilizzò molto.

L’incontro con Carla Fracci è stato ovviamente determinante. Un rapporto complesso, lungo, faticoso, costruttivo, speciale. A lei devo veramente tantissimo, non solo per la nomina a Prima Ballerina, ma per il bagaglio artistico che mi ha permesso di conoscere e che lei stessa mi ha mostrato ed insegnato. Con lei ho conosciuto ed affrontato tutto il grande repertorio, un dono di gran valore,  preziosissimo. 

Ovviamente la presenza del Maestro Beppe Menegatti è stata fondamentale, direi necessaria. Non riuscirei ad immaginare la mia carriera senza l’incontro con Beppe. Lui mi ha veramente “insegnato”, non la Danza, ma il Teatro nella sua totalità. Per me è stato un vero punto di riferimento. Mi manca molto.

E poi con Micha VanHoeche c’è stato il rapporto più maturo, con tutte le sfumature che ne conseguono. Il vero lavoro di collaborazione in sala tra coreografo e danzatore, l’ispirazione che viene l’uno con l’altro. Una libertà che ti rigenera, culminata con il riconoscimento più grande, inaspettato ma tanto sognato, la nomina di Etoile, voluta da lui stesso e dal Sovrintendente Carlo Fuortes.

La danza classica oggi. Ci racconti che succede?

Succede che progredisce, avanza, va avanti come tutto nella vita. La tecnica e i virtuosismi hanno raggiunto dei livelli eccelsi, inimmaginabili. E tutto questo è meraviglioso, molto stimolante. Il mio rammarico però sta nel notare che a volte nelle nuovissime generazioni la ricerca della tecnica perfetta, della pirouettes in più, del salto più alto, va a discapito dell’artisticità, della capacità di interpretare un ruolo in modo diverso da un altro, dell’importanza di un gesto, della pantomima… lo capisco, penso sia un atteggiamento in linea con il ritmo della vita dei nostri giorni. Forse riguardare i grandi miti della Danza ogni tanto potrebbe fare bene. Tecnica e artisticità sono indissolubili, sono una al servizio dell’altra. Non può esistere una senza l’altra, non basta.


Ed invece che ci dici della danza contemporanea? 

Penso che la danza contemporanea stia vivendo un periodo di grande vitalità. Non c’è l’intento di stupire per forza, ma tanta carica e voglia di testare, di ricercare, di provare. C’è tanto da dire e per fortuna ci sono tanti artisti che lo sanno dire molto bene.

La danza contemporanea ha finalmente conquistato un ruolo di importanza fondamentale in tutti i Teatri e le compagnie di balletto.  


Parliamo di Gaia Straccamore insegnante. Quando e come capisci se un tuo allievo farà il gran salto artistico?

In realtà nessuno può saperlo con certezza, e anche questo è il bello. A volte si creano delle grandi aspettative verso alcuni ragazzi per poi essere sorpresi da altri. Certo, noi individuiamo persone talentuose e promettenti, si vedono da subito, ma poi sono loro a dover continuare a lavorare assiduamente anche senza il “controllo” del maestro. È un passaggio molto difficile quello da allievo a professionista, è un momento molto delicato. Ci si può sentire persi, ed è proprio lì che si deve attingere alla propria disciplina e al proprio rigore. Si va avanti con umiltà e perseveranza e, a mio dire, anche con un tocco di follia. Il lavoro ripaga sempre.

E poi ci vuole anche un pizzico di fortuna!


Ed invece quanto sei legata al sociale?

Molto, credo sia profondamente importante per tutti noi dare un contributo a delle problematiche sociali. È giusto farlo a qualunque livello. Se si può contribuire a sostenere una causa, penso sia doveroso farlo. Non è necessario fare gesti eclatanti, l’unione di tanti piccoli contributi può fare la differenza.

Io sostengo la BA.BI.S onlus, presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. È una vera banda di bimbi speciali, supportati da genitori incredibili. Quanta forza e amore c’è in loro!


Parlaci del tuo lockdown. Riflessivo o costruttivo ?

Direi impaurito, almeno all’inizio. Ero molto spaventata. Poi la quotidianità casalinga mi ha coccolata, tanto da dover ritenere di soffrire della “sindrome della capanna”. Le preoccupazioni per i miei cari e per il mio lavoro erano forti ovviamente, ma dentro casa mi sentivo al sicuro, ero tranquilla, anzi, ho avuto qualche difficoltà ad uscire e a ricominciare la mia vita. Non ho sofferto nel passare il lungo periodo della quarantena in casa, non avevo smanie di uscire, e direi che alla fin è diventato un momento di produttività.


Momenti difficili e cedimenti in una carriera come la tua esisteranno certamente. Hai mai pensato “ok ora basta!“? 

Si certamente, momenti molto difficili, e quasi sempre legati agli infortuni che ho avuto. Purtroppo un infortunio per un danzatore rappresenta un momento di grande sofferenza, anche di vera crisi. Ovviamente dipende dall’entità del problema. Quando cominci a subire tanti infortuni, e sempre più o meno per la stessa motivazione, cominci a riflettere, e fai delle valutazioni.


Cosa ci dobbiamo aspettare da Gaia Straccamore ?

Non ne ho idea, ed è questo l’aspetto che mi intriga di più. Non faccio programmi a lunga data, mi do degli obbiettivi, cerco di raggiungerli (sono  molto testarda), mi do molto da fare, ma in realtà spero sempre di essere sorpresa da qualcosa di bello che possa capitarmi.
Chissà…

 

Massimo Zannola