Alwin Nikolais è stato il suo maestro negli anni della formazione newyorkese e il suo direttore nella Alwis Nikolais Dance Company; Carolyn Carlson è stata la sua direttrice all’Accademia isola Danza della Biennale di Venezia ed è sua amica. Due figure straordinarie a cui Simona resta indissolubilmente legata e che hanno accompagnato la sua carriera di danzatrice, coreografa, didatta e sostenitrice di talenti.
Bergamasca di nascita ma fiorentina di adozione Simona è una delle esponenti di spicco della danza contemporanea in Italia e all’estero e vanta un curriculum di tutto rispetto.
Fondamentale è stato il rapporto con Nikolais che nel 1991 la nomina assistente e poi solista della sua Company, con cui danzerà nei più importanti teatri del mondo. E al suo maestro e direttore Simona dedica nel 2005 il solo Path e la conferenza-spettacolo Nick, nel 2010 Boxville, ballata di cartone per il centenario della nascita e in seguito ottiene la certificazione della Nikolais-Louis Fondation for Dance of New York per formare insegnanti di tecnica Nikolais.
Decisivo anche il rapporto con Carolyn Carlson. Nel 2000 Carolyn la nomina assistente in qualità di coordinatrice e docente dell’Accademia Isola Danza e per tre anni sarà al fianco della Carlson debuttando a Venezia con il pezzo Di ombre cerchiati gli occhi ad opera della neonata Compagnia Simona Bucci.
Non si contano i suoi lavori e basti ricordare I Rimasti, vincitore del Premio Danza&danza 2005, Cenere per la Compagnia di Carolyn Carlson, Arresi alla notte, commissionato dalla Biennale di Venezia, Indissolubile eco, Giuditta e Oloferne, If Rebelltanz per MaggioDanza, Enter Lady Macbeth. A cui si aggiungono le collaborazioni con Daniele Abbado per le realizzazioni coreografiche di opere come Cyrano de Bergerac, Rigoletto, Traviata, Don Carlos, Nabucco, Macbeth, e il suo impegno nel produrre spettacoli per bambini iniziato nel 2008 con Giorgio e il drago e tuttora in essere.
Un profluvio di ‘cose’, qui ricordate per sommi capi, che costellano una carriera di comprovati successi e che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non hanno affatto insuperbito Simona Bucci che continua ad essere una persona affabile e disponibile a raccontarsi con semplicità e garbo.
Simona, come è nato il sodalizio con Alwin Nikolais?
È stato il mio Maestro. Mi ha formata come danzatrice e coreografa. Ricordo che vidi un suo spettacolo al Maggio Musicale Fiorentino quando, all’epoca, frequentavo la Facoltà di Architettura. Conoscevo Nikolais dai libri di storia della danza ma davanti a questa messinscena ebbi la conferma che le mie passioni per l’architettura, le arti figurative e la danza si concretizzavano nelle sue creazioni. Fui folgorata, abbandonai architettura e nel 1981 partii per gli Stati Uniti per andare a studiare con lui e formalizzare ciò che sentivo di avere dentro.
Era un genio e forse qualche goccia della sua genialità mi ha ‘bagnato’.
Qual era la personalità di Nikolais?
Nik, come lo chiamavamo, era un artista a tutto tondo: coreografo, scenografo, costumista, compositore, light designer ed era bellissimo vederlo a casa sua nei momenti di intimità.
Cucinava benissimo e in modo creativo. Un piatto non era mai quello cucinato la volta precedente. I veri artisti sono artisti trasversalmente e lui lo era. Quello che mi colpiva era la sua generosità e il fatto che riusciva a scindere la personalità di coreografo da quella di pedagogo. Questo non è scontato perché i grandi maestri trasmettono il loro pensiero sulla danza, il loro senso estetico e se, ad esempio, vai da Cunnigham studi Cannigham, se vai da Graham studi Graham. Invece con Nik non era così e ci teneva a sottolineare che la sua era una Scuola e non uno Studio e soleva ripetere che quello che faceva in scena non aveva nulla a che fare con quello che faceva in classe. A Nikolais premeva insegnare a pensare e a riflettere sulla danza in generale. Il suo famoso libro, che non è mai riuscito a finire, si intitolava The Unique gesture il gesto unico e credeva in questa unicità.
Si parla di tecnica Nikolais e tu sei certificata per insegnarla ma è mai stata codificata da lui?
La tecnica Nikolais, nonostante lui la chiamasse tecnica, non è codificata nel senso che non esistono passi o sequenze stabilite. Se fai lezione di Nikolais con dieci insegnanti avrai altrettante lezioni diverse. E questo è abbastanza sconvolgente. Ci sono segni grafici che rispondono alle differenti tecniche ad esempio il balletto classico che è la perfezione della codificazione. Alwin Nikolais credeva che la verità assoluta non esistesse e diceva: “Come faccio a fare un gesto e affermare che quello è assoluto quando poi tra un anno avrò esigenze espressive diverse, la società si sarà evoluta e le necessità saranno cambiate?” Riteneva che tutto fosse in divenire e un gesto scelto in un determinato momento valeva per quel momento ma sarebbe inevitabilmente cambiato.
Codificare a suo avviso limitava le possibilità ed era agli antipodi del balletto classico che ha nell’assolutismo della codifica la ragione di essere e di esprimersi. Era un uomo del futuro e aveva compreso che viviamo in una società in continua trasformazione e la codificazione è un vano tentativo di cristallizzare ciò che non può essere cristallizzato. Naturalmente questo discorso valeva in riferimento al suo ruolo di maestro e pedagogo perché in quello di autore inevitabilmente veniva fuori la sua identità coreografica. La coreografia di Nik con quelle luci, quei costumi, quell’uso dello spazio rimane come segno di un preciso periodo storico e di una specifica identità artistica, ma questo apparteneva alla sua natura di coreografo, altra cosa era invece la sua identità di pedagogo.
Come era studiare nella Scuola di Nikolais?
Le classi erano lunghissime: si cominciava la mattina con un’oretta di riscaldamento a terra, poi si studiava in centro e dopo si facevano le diagonali seguite dalle variazioni sul tema che sviluppavamo quel giorno. Finita la mattinata c’era una piccola pausa e riprendevamo con teoria, improvvisazione e composizione. Ogni lunedì dovevi portare un piccolo studio coreografico sul tema analizzato la settimana precedente e Nikolais si arrabbiava molto quando qualcuno presentava qualcosa che assomigliava al suo lavoro. Non perché fosse geloso ma semplicemente perché voleva che ciascuno trovasse la sua strada e non copiasse. Non dimenticherò mai quando mi ripeteva: “Simona tu non devi coreografare come un americano, tu sei italiana e devi prendere spunto dall’identità e creatività che ti porti dentro”. È stata una grandissima lezione. Ho visto tante persone lasciare la Scuola quando si rendevano conto che non esisteva un codice di forme e movimenti da conquistare. Non c’erano certezze e se il giorno prima si lavorava sulla leggerezza, il giorno dopo in si lavorava sulla pesantezza e sul radicamento. In pratica dovevi cambiare velocemente l’impostazione del corpo in un’indagine costante e uno studio del genere non era facile.
Quanto ancora segui il magistero di Alwin Nikolas?
Il magistero di Nik mi guida tuttora come artista e come direttrice di compagnia. Ispirata a lui è la mia impronta pedagogica e artistica. Sono fedelissima all’insegnamento di Nikolais e sono così fedele perché sono totalmente diversa da lui. La mia fedeltà è nell’essere consapevolmente difforme ed è quello che lui voleva che fossi e a questo principio mi attengo anche con i miei danzatori e con i coreografi che sostengo. Non devono fare cose che piacciono a me e come le voglio io, tutt’altro. Sostengo la loro ricerca verso un’identità unica e originale. Se si osservano gli spettacoli di Carolyn Carlson, sua allieva e leader soloist della Alwin Nikolais Dance Company, ci accorgiamo che sono differenti da quelli di Nikolais e per i miei è lo stesso. Ma la base su cui entrambe sviluppiamo il processo creativo ci è stata insegnata da lui e con il mio insegnamento cerco di fare la stessa cosa affinché ognuno trovi la sua cifra artistica.
È molto triste per un artista copiare un altro e personalmente amo vedere opere che sono lontanissime dalla mia estetica e cerco quell’unicità di cui parlava Nikolais, il segno che è tuo e di nessun altro. Questo è l’augurio che faccio anche di fronte all’insuccesso.
E Carolyn Carlson cosa ha rappresentato per te?
Molto ma la cosa buffa è che tantissimi ruoli che ballavo nella Compagnia di Nikolais, li aveva danzati Carolyn. L’ho conosciuta frequentando un suo corso l’anno in cui poi mi sono trasferita in America. La rividi a Parigi in occasione degli spettacoli della Alwin Nikolais Dance Company all’Opéra di Parigi. In seguito mi chiamò alla Biennale Danza per diventare la sua assistente all’Accademia Isola Danza dove sono stata tre anni. Quello con Carolyn a Venezia è stato un periodo bellissimo di grande fermento. Prima di tutto ci univa, e ci unisce, il grande amore per Nik al quale siamo entrambe debitrici. Col tempo siamo diventate amiche e tra di noi c’è fiducia e stima reciproca. Lei è sempre presente nel mio lavoro e io nel suo. Il legame è di natura amicale e professionale e ammiro il fatto che una grande coreografa come lei riconosca in Nikolais il suo maestro. Non è da tutti.
Nella tua carriera direttiva ben tre sono le compagnie che hai fondato.
Si, nel 1983 ho fondato la Compagnia di Danza Contemporanea Imago e il Centro di Danza Contemporanea Imago Lab con Emanuela Salvini; nel 2002 ho dato vita alla Compagnia Simona Bucci che, da un annetto circa, si è trasformata nella Compagnia Simona Bucci/Compagnia degli Istanti. Fin dall’epoca dell’Imago ho sempre lavorato con persone che condividevano il mio interesse per la ricerca e lo studio della tecnica Nikolais. Erano miei ex allievi e poi sono diventati miei danzatori.
Molti di loro avevano un potenziale coreografico e memore di quanto sia stato difficile per me cominciare a fare spettacoli e consapevole di quanto la burocrazia intralci, ho cominciato a sostenerli. E siccome mi dispiaceva che rimanessero legati da un nome così personale come quello di Compagnia Simona Bucci, ho creato un contenitore che accogliesse i miei pezzi e quelli di questi giovani autori, quindi, abbiamo modificato il nome in Compagnia degli Istanti. Senza dubbio alcuni di loro si affrancheranno come è giusto che sia, ma almeno per partire hanno un sostegno.
Nella tua vita artistica non mancano collaborazioni con festival e teatri importanti.
Sì e tra i festival c’è La Biennale Danza. Per quanto riguarda i teatri anni fa per il Maggio Musicale Fiorentino ho coreografato If-Rebelltanz. Un incontro importante per il mio lavoro è stato quello con Daniele Abbado grazie al quale sono entrata nel mondo della lirica creando coreografie per messinscene operistiche. Il sodalizio con Daniele Abbado mi ha aperto le porte di prestigiosi teatri come la Scala, la Fenice, la Royal Opera House e dato la possibilità di contribuire alla realizzazione di moltissimi allestimenti.
È un’esperienza esaltante che dura da più di dodici anni e sono molto contenta e fortunata.
Il Progetto Site Dance che caratteristiche ha?
Site Dance è una rassegna di danza itinerante, diretta da me e Marika Errigo. Siamo arrivati alla quinta edizione e nasce grazie al contributo del Comune di Firenze, nell’ambito dell’Estate Fiorentina, della Città Metropolitana e della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, oltre al Ministero della Cultura e della Regione Toscana che sostengono la Compagnia per la produzione. L’ultimo appuntamento in ordine di tempo è stato ad ottobre negli spazi del Museo di Sant’Orsola a Firenze. Site Dance è un format che abbiamo creato per eventi che facciamo con l’intento di portare la danza fuori dai luoghi deputatati.
Site Dance è un site specific che permette di compensare la chiusura estiva dei teatri con appuntamenti che possono sensibilizzare e attrarre nuovi pubblici e mostrare la danza in contesti non canonici. La danza non deve avere confini, può svilupparsi in relazione al luogo e allo spazio in cui si trova ad agire come, ad esempio, a Sant’Orsola.
Ci sono progetti in cantiere?
Stiamo sostenendo tanti gruppi e ci sono altri progetti che i danzatori e i coreografi stanno preparando e non ci fermiamo. Poi abbiamo gli spettacoli per bambini a cui tengo molto e l’impegno per la qualità dei costumi, delle musiche, delle scenografie è identico a quello profuso per le altre produzioni.
L’ultimo pezzo si intitola Eco quiz Show, una sorta di gioco a quiz sull’ecologia, e in repertorio abbiamo anche un lavoro sul corpo umano. Con i bambini se lo spettacolo non funziona si vede subito, non hanno filtri e se si annoiano vuol dire che non siamo stati all’altezza.
Il loro giudizio disinteressato è di grande stimolo.