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Scenario Pubblico

Quando
03/09/2023

Riesco a visitare Scenario Pubblico in occasione della quarta edizione del FIC Festival che dal 7 al 14 maggio ha portato a Catania una energia “virale” che ha “infettando” la città con la creatività e la danza come fa del resto intuire l’acronico FIC /Focolaio di Infezione Creativa.

Scenario Pubblico nasce nel 2002 in una struttura dei primi del 900 sin da subito pensata per la danza contemporanea, raro esempio in Italia di centro coreografico europeo e diventato presto punto di riferimento per la danza non solo al Sud Italia. Ideatori e promotori di questo recupero nonché artefici di tutte le attività ad esso correlate sono Roberto Zappalà e Maria Inguscio.

Quando nel 2002 vi siete imbarcati in questa avventura vi siete ispirati a qualche struttura preesistente?

Maria: Da quando ci siamo conosciuti, 26 anni fa, Roberto ha sempre parlato di dare una casa alla compagnia. Cercavamo un capannone in periferia e poi ci siamo imbattuti in questa proprietà in centro, vicino al Bellini, che era semplicemente perfetta. In realtà è la struttura che ci ha ispirati e ciò che è diventata è stata il frutto di un lavoro costante e di un grande impegno personale, anche finanziario. Abbiamo infatti deciso di acquistare questo spazio ricorrendo a mutui bancari ma anche grazie all’intervento di privati e poi lo abbiamo ristrutturato con finanziamenti europei. Possiamo lavorare così serenamente proprio perché la struttura è nostra. Sono sicura che altrimenti non avremmo avuto la possibilità di creare tutto questo.

Roberto: Cercavamo un luogo che potesse dare alla compagnia una serenità di spazi e soprattutto un luogo dove poter portare in scena ciò che sperimentavamo in sala perché a Catania gli spazi erano tutti troppo grandi per cui ogni anno potevamo portare in scena solo uno spettacolo sia perché portare tanto pubblico era una follia sia perché avevo bisogno di tempo per la creazione. Per questo Scenario Pubblico è nato subito con tutto il materiale: oggi abbiamo circa 300 proiettori, tutti motorizzati nuovi, e un service audio e luci di altissimo livello. Era una mia esigenza ma credo sia il desiderio di qualunque coreografo.

Come è articolato il centro? Di quali spazi disponete?

Maria - Scenario Pubblico è articolato in diversi spazi su due livelli. Abbiamo una sala white che quando abbiamo iniziato era in realtà adibita a ristorante; il progetto infatti si reggeva economicamente sulla ristorazione, una scelta che si è rivelata un flop perchè fin da subito è stata l’arte a reggere la struttura e non la ristorazione. C’è attualmente una caffetteria/ristorante ma più integrata perché di servizio per gli interni. Ci sono poi la sala black, che è la nostra sala teatrale con  circa 150 posti a sedere, e, al piano superiore, la sala grey. Esterna alla struttura la sala scenario lab, che abbiamo in affitto per 20 anni, è stata aggiunta un paio di anni fa durante il covid. Sicuramente non il periodo migliore per un investimento del genere ma necessario perché le attività aumentavano e iniziavamo a stare un po’ stretti. È uno spazio che si è rivelato utilissimo per fare prove aperte e che ospita anche un laboratorio per le scenografie e per la videodanza. C’è poi la parte foresteria, un archivio video e ovviamente gli uffici.

Nel 2015 siete diventati Centro Nazionale di Produzione della danza e nel 2022 avete festeggiato il vostro compleanno con la nomina a CRID Centro di rilevante interesse per la danza. Cosa rappresentano per voi questi riconoscimenti e come hanno influito sul vostro operato?

Maria - Rispetto alle attività proposte siamo sempre stati un centro di produzione. Già nel 2002 ci siamo aperti ad ospitalità, festival, residenze, quindi abbiamo solo ampliato il ventaglio delle attività. Sin dal secondo anno infatti al MIBAC avevamo due finanziamenti, come compagnia e come esercizio teatrale, che poi sono diventate un’ unica struttura amministrativa; i numeri sono cresciuti in maniera esponenziale in questi 20 anni quindi è sicuramente cambiata la portata, il peso e la corposità delle attività. Da quando siamo centro di produzione abbiamo strutturato meglio alcune cose, ne abbiamo razionalizzate altre e abbiamo inquadrato meglio anche l’aspetto della formazione. MoDem c’è stato sin dall’apertura ma eravamo più aperti verso altri linguaggi; poi abbiamo deciso che chi viene qui lo fa per entrare in contatto con la compagnia e con il suo linguaggio. Per il resto ci sono le scuole di danza.

Roberto - In qualche modo abbiamo preceduto le richieste Ministeriali, infatti da subito lo abbiamo aperto agli altri con delle ospitalità, anche in virtù della grandezza dello spazio, ma 20 anni fa non avevamo la disponibilità economica di oggi. Nasce così, a due anni dall’apertura, il bando di residenze Acasa che pur non dando denaro offriva gli spazi, la fonica, le luci oltre alla serenità di un luogo familiare ma di grande professionalità e serietà dove lavorare.

Uno dei paletti che avete come CRID è che avete bisogno di un contributo che sia almeno pari al 40% del contributo statale. Quale supporto avete dalle istituzioni locali?

Maria - Siamo in prima fascia per la regione ma questa non stanzia fondi per le strutture private. Lo scorso anno ci siamo relazionati con un assessore in ascolto e molto attento e con il coordinamento che abbiamo istituito con il teatro Libero e il teatro della città Catania abbiamo presentato delle istanze ottenendo un riconoscimento che ogni anno, però, deve essere rifinanziato. E comunque le risorse sono insufficienti. Anche il protocollo sottoscritto con il Teatro Bellini, nonostante il budget ridotto, ci aiuta ma il nostro obiettivo è quello di crescere soprattutto dal punto di vista delle progettualità. Vogliamo poter dare continuità e serenità a chi lavora con noi compresi i danzatori ma lo scorso anno abbiamo speso 700 mila euro di personale. Anche l’unico altro crid, il Centro della Danza Virgilio Sieni, ha lo stesso problema perché la regione Toscana ha fatto dei tagli.

È un lavoro impegnativo e il target del 40% è un grosso freno. Il Ministero lo fa probabilmente per sensibilizzare il territorio peccato che ci siano grandi differenze di possibilità da una regione all’altra.

 

Qui si sviluppano attività di produzione, programmazione, ospitalità, formazione e divulgazione. Tra queste il FIC Festival giunto alla 4 edizione e dedicato alla giovane creatività. Qual è il filo conduttore di questa edizione?

 

Maria - Siamo partiti dai coreografi e dalle compagnie selezionati dal nostro bando Acasa che hanno avuto un biennio di residenza articolato in una residenza creativa di due o tre settimane lo scorso anno e una tecnica in questi giorni. Gli artisti selezionati sono stati la Compagnia Ivona / Pablo Girolami, la Compagnia Cornelia, la Compagnia Bellanda / Giovanni Gava Leonarduzzi, Gennaro Maione / Compagnia Körper, I Vespri / Giovanni Insaudo e Dario Rigaglia alla sua prima creazione. Questo è stato il perno centrale. Ci siamo poi voluti aprire alla musica e ai video collaborando con partner del territorio. Accanto a loro abbiamo proposto artisti con una chiara visione artistica, più maturi e strutturati come Virgilio Sieni e la Compagnia Zappalà. La prima edizione, nata da un bando siae, era un po’ diversa. Stiamo già pensando alla prossima edizione che darà sempre spazio ai giovani ma probabilmente avrà un assetto diverso.

La città come risponde a Scenario Pubblico?

Maria: Abbiamo avuto un periodo di forte crisi durante il covid e pensavo non ne saremmo usciti. Invece c’è stata una grande ripresa perché la città risponde bene e ci sostiene. L’amministrazione invece è stata sempre assente. L’assessorato alla cultura non ha fondi e c’è anche un problema serio di progettualità dell’amministrazione. La programmazione culturale va avanti grazie ai singoli, all’impegno e all’iniziativa dei privati, alle progettualità condivise, alle collaborazioni e al partenariato. Anche il protocollo di intesa che abbiamo firmato con il Teatro Massimo Bellini va in questo senso e avrà nell’arco del triennio un probabile sviluppo di più ampio respiro. Siamo due mondi che si sono incontrati e che attraverso sinergie importanti possono creare delle forti ripercussioni sul pubblico e il territorio, permettendo a entrambe di avere un maggiore peso.

E noi siamo privilegiati rispetto ad un giovane all’inizio della carriera anche se oggi rispetto a quando abbiamo iniziato noi ci sono tante possibilità in più: reti, strutture, residenze. Noi non avevamo neanche internet! Oggi però è tutto velocizzato, ci sono troppe sollecitazione, manca quel tempo e quello spazio che è necessario ad un creativo per sviluppare una propria identità, un proprio linguaggio.

L’anima organizzativa e artistica di Scenario Pubblico siete voi due. Una vera squadra nella vita e nel lavoro.

Roberto - Per fortuna tutta la parte burocratica e amministrativa l’ha presa in mano Maria che ci si è dedicata totalmente, è stata bravissima e senza di lei la struttura si bloccherebbe. Lavora tantissimo, con passione e senso di responsabilità anche nei confronti di tutte le persone che dipendono da noi. Io faccio molto meno di quello che fanno in ufficio perché i momenti di tranquillità sono molto importanti per la creazione. Citando uno scrittore “come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. Penso che questo valga per tutti gli artisti soprattutto per un coreografo che per lavorare fisicamente ha bisogno di un ballerino.

Maria: In realtà Roberto ha avuto fiducia. Quando ho iniziato ero una violinista che viveva in un mondo tutto suo: ero timida, non sapevo usare il computer, mi preoccupava anche rispondere al telefono! Lui mi ha dato una grande fiducia, mi ha lanciata in questo mondo e io ho dovuto imparare tutto da zero senza i mezzi che ci sono oggi. Mi sono dovuta migliorare in tutto e quello che sono oggi lo devo a lui. Ci ho creduto fortemente e abbiamo lavorato insieme per quella che è la nostra creatura. Lo faccio anche per la mia terra, per la Sicilia. Mi sono innamorata totalmente e voglio dedicare la mia vita a questo.  Bisogna appassionarsi e fare le cose con l’anima per ottenere dei risultati.

Cosa trova un ragazzo che decide di venire a Scenario Pubblico?

Roberto: Qui si è fatta una scelta molto radicale. Questa è una compagnia d’autore non ci sono tanti coreografi o meglio ci sono ma fanno le loro cose. Chi vuole la compagnia Zappalà la vuole con le mie cose. Il 90% dei ballerini della compagnia e della compagnia giovane arrivano dal percorso ModemPro. Solo raramente vengono fatte delle audizione per esterni perché è una questione di linguaggio. Quindi la domanda è: cosa cercano i ragazzi che vengono qui?. Questa non è una scuola di danza, qui non puoi studiare tutto, quindi devi arrivare quando sei già formato e apprensere il nostro linguaggio. Modem atelier, che dura 2 anni, è stato pensato per i catanesi o per coloro che hanno un livello di contemporaneo più basso. MoDem PRO è un master di tre mesi rivolto a danzatori già formati con un’ottima base di classico e contemporaneo che vogliono conoscere e/o approfondire il linguaggio MoDem. Chi viene qui deve essere cosciente che c’è un solo linguaggio, ovviamente ci sono anche lezioni di classico, ma occorre essere interessati a questo linguaggio. Oggi ci sono tantissimi stili e linguaggi quindi bisogna fare una scelta. Se vuoi lavorare in una compagnia dove si lavora con diversi coreografi e diversi stili questo non è il posto adatto. Ti piace approfondire un linguaggio per essere autentico quando danzi? Questo è il posto giusto. Perché ci sono due categorie di coreografi: quelli d’autore, che hanno uno stile preciso, e i generalisti che hanno bisogno di danzatori che non hanno un carattere ben preciso.

Un coreografo d’autore non cerca un ballerino semplicemente bravo, ma che sia perfettamente calato nel linguaggio. Bravi ce ne sono tanti, molti meno che siano affini al mio mondo, alla mia filosofia, al mio linguaggio. A volte possono essere tecnicamente meno prestanti ma sono molto più potenti e convincenti nel linguaggio. Sono scelte difficili soprattutto perché vanno fatte in giovane età quando non sempre si hanno le idee chiare e infatti qui vengono non prima dei 20 anni. È vero però che i giovani di oggi hanno un mare di possibilità se hanno fascino e qualità.

 

 

MoDem, acronimo di Movimento Democratico,  è il linguaggio che hai sviluppato e che caratterizza la Compagnia Zappalà Danza e per apprenderlo e/o approfondirlo esistono de diversi percorsi: Modem pro e Modem Atelier. Come vi si accede?

 

Roberto - Si accede tramite audizione. Prima si svolgevano in presenza in 10 città europee ma era un’operazione economicamente troppo impegnativa. Oggi le facciamo via web. Occorre inviare una improvvisazione e una legazione. Anche per entrare in compagnia la metodologia dell’audizione è la medesima. Quando poi arrivano qui un po’ di differenza c’è sempre perchè un conto è quello che sanno fare loro un altro quello che voglio io.

Scenario nasce quindi come casa della compagnia ma oggi è tanto altro

Roberto - Sì perché questa è sempre stata la nostra filosofia. Sono venuto appositamente in una città acerba per quanto riguarda la danza dove potevo cercare un mio linguaggio, dove dovevo e potevo dare qualcosa che in quel momento non c’era, in più era la mia città quindi un connubio perfetto! Ed è stata una scelta vincente nonostante i grandi sacrifici. L’unico timore è che essendo dei privati potremmo in futuro avere dei problemi, anche se in realtà non siamo una vera istituzione privata perchè senza il denaro pubblico non esisteremmo. Siamo privati istituzionalmente, come governance. L’unica cosa di privato che abbiamo sono i cache ma anche in questo caso posso vendere gli spettacoli a prezzi contenuti proprio in virtù del finanziamento pubblico.

La cosa positiva è la forza che ci metti, perché nel sistema danza, un po’ in tutta Europa, devi ricevere dagli altri prima di dimostrare cosa sai fare ed è una cosa che non ho mai accettato. Vale anche per i ballerini che tendono ad andare tutti nelle città dove il lavoro è più sicuro con il risultati di saturare il mercato e dover poi tornare indietro. Ma noi abbiamo una grande fortuna perché non siamo attori, possiamo andare in qualunque parte del mondo. Quindi puoi vivere benissimo a Catania e fare le audizioni dove vuoi.

Ma qui in Italia quali possibilità ci sono?

Di compagnie ce ne sono eccome. C’è questo falso mito che all’estero sia tutto migliore, come in Germania dove i teatri hanno le compagnie. I ballerini però ci rimangono poco perché il livello non è altissimo e sono obbligati a fare tutto, le opere, i musical il che non è la massima aspirazione per un ballerino contemporaneo. Certo hai i soldi sicuri. Ma è una filosofia di vita: dipende da cosa vuoi. Io a 22 anni ero stabile all’Arena di Verona  ma non era il mio mondo e sono scappato. Stiamo parlando di 40 anni fa quando per un danzatore c’erano meno possibilità rispetto ad oggi. Certo c’erano i corpi di ballo ma se non eri un eccellente danzatore classico non avevi possibilità di trovare un lavoro. Oggi è più facile perché la danza contemporanea permette anche a chi non ha un corpo perfetto o una eccellente tecnica di lavorare: ci sono una miriade di compagnie o progetti con coreografi di tutti i tipi.

Il ballerino deve capire che non glielo ha detto il medico che deve fare per forza il ballerino. Stessa cosa vale per i coreografi. Ti piace? Lo vuoi fare? Rischia. Ma non è detto che gli altri debbano finanziare quello che produci. Te lo devi conquistare. L’Italia ha una marea di problemi se la paragoni alla Germania o alla Francia ma rispetto a tanti altri paesi non è così. Anche la Germania ha le sue pecche: non ci sono rassegne e festival e le compagnie tedesche, tranne le 4/5 più importanti, non hanno posti dove esibirsi. In Italia ne abbiamo molti di più ma anche meno soldi. Ma sono due cose diverse. Abbiamo molti posti dove andare ma i cache sono più bassi e spesso neanche pagati subito. Il che non è neanche colpa delle strutture ma dei contributi che arrivano troppo tardi.

Sarebbe quindi auspicabile un cambiamento radicale nelle assegnazioni del FUS?

Il FUS ha tanti problemi e incongruenze ma non è disastroso. Ci sono troppe compagnie anche di gente che non ha dimostrato di eccellere quindi non vedo perchè debbano continuare ad essere presenti. Una compagnia è qualcosa di strutturato con un ufficio, del personale che cura la parte burocratica e amministrativa. È una struttura. Non perché uno fa il coreografo e ha 4 ballerini si può parlare di Compagnia. Ci sono poi delle disparità; per esempio noi che stiamo in Sicilia siamo svantaggiati perché abbiamo spese di trasferta molto più alte non tanto per i viaggi quanto per i soggiorni. Penso che dovrebbero dare più risorse alle rassegne e ai festival piuttosto che alla produzione perché una volta creato il lavoro deve girare e può farlo solo se i festival e le rassegne hanno fondi sufficienti. E poi c’è l’under 35 che ha distrutto il mercato: ora tutti i ballerini vogliono fare i coreografi poi a 36 anni non lavorano più.  Ma la prima cosa è il talento non quanti anni hai.

Ci sono dei meccanismi che vanno migliorati ma non si riesce perchè manca un dialogo diretto con l’altra parte e c’è sempre il retro pensiero che quello che diciamo sia finalizzato al nostro personale tornaconto; se le istituzioni capissero che le nostre critiche vogliono essere costruttive e finalizzate a sostenere ed aiutare il settore e il sistema forse le accoglierebbero diversamente.

Siamo troppo abituati a lamentarci ma in realtà in Italia non mancano ne le compagnie, ne gli artisti ne gli spazi. Mancano i soldi. Questo è il vero problema.

Ci sono tante incongruenze…ma in fondo un mondo perfetto non esiste. C’è però un segreto in tutto questo pensiero: il privilegio di poterlo fare. E noi siamo privilegiati.

 

 

Luana Luciani