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Cristina Bozzolini

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13/03/2023
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Personaggi
Cristina Bozzolini è una delle grandi Signore della danza italiana che tanto hanno dato, e ancora danno, alla Danza, un vero punto di riferimento per più generazioni. Quando penso alle più grandi, in mente ho Luciana Savignano, Liliana Cosi, Paola Iorio, Annamaria Prina, Mara Fusco, e le indimenticabili immense Carla Fracci, Elisabetta Terabust e Vittoria Ottolenghi. A molti dei nostri giovani alcuni di questi nomi saranno certamente sconosciuti, eppure sono loro che hanno incarnato un modo di essere ballerine, formatrici, giornaliste, coreografe, direttrici che nel connubio tra danza, eleganza, rigore e sacrificio, hanno gettato le basi fondanti della professionalità coreutica.
Niente di urlato, eccessivo, ostentato, ma lavoro, lavoro e ancora lavoro. 
La più grande ricompensa per ciascuna era il risultato, il riconoscimento da parte di pubblico e critica della loro professionalità. 
Cristina Bozzolini, classe 1943, a sedici anni inizia la sua carriera professionale nei maggiori teatri italiani, entrando successivamente nel corpo di ballo del Maggio Musicale Fiorentino dove verrà nominata nel 1971 prima ballerina, danzando al fianco di Nureyev, Barishnikov, Vassiliev, Amodio e molti altri.  Come ballerina riceve numerosi premi tra cui il Premio Positano per la Danza nel 1969. Fonda la scuola del Balletto di Toscana e la Compagnia Balletto di Toscana, con la quale riceverà altri numerosi e prestigiosi premi. È co-direttrice nel 2002 del Balletto di Roma e direttrice della Compagnia Aterballetto dal 2008 al 2017. Oggi è ancora al lavoro con l’NBDT Nuovo Balletto di Toscana.
 
Cristina ci racconta il Balletto di Toscana di ieri e quello di oggi?
Il Balletto di Toscana è nato nel 1985, dopo dieci anni dalla fondazione del Collettivo Danza Contemporanea a Firenze, una compagnia con audizioni dove si presentavano ballerini dall’estero con forti basi di classico; all’epoca il contemporaneo si faceva meno. Avevo deciso di dare alla mia compagnia un’impronta più contemporanea, perché ritengo che il classico debba essere fatto dai corpi di ballo degli enti lirici.
La fortuna è stata quella di trovare ballerini classici molto duttili. Se sei un bravo ballerino riesci, attraverso il lavoro coreografico, a plasmarti, trasformarti, acquisisci una consapevolezza del corpo che ti porta a sviluppare una maggiore maturità artistica. I ballerini della compagnia sono cresciuti insieme ad essa, grazie al lavoro con coreografi del calibro di Robert North, Angelin Preljocaj, Virgilio Sieni, Mauro Bigonzetti, Fabrizio Monteverde, Hans Van Manen e tanti altri.
Purtroppo varie vicissitudini hanno portato la compagnia a dover affrontare problematiche economiche piuttosto pesanti, per cui sono stata costretta a chiuderla.

Dopo la chiusura nasce però il Junior Balletto di Toscana…
Avevo deciso di occuparmi prevalentemente della Scuola del Balletto di Toscana ma sentivo la difficoltà di restare lontana dal palcoscenico, è per questo che ho creato la compagnia  ma anche per dare opportunità ai ragazzi; calcare un palcoscenico è l’emozione che fa la differenza. Abbiamo subito avuto un riscontro di pubblico e critica molto positivo e anche le richieste da parte di festival e teatri aumentavano, a tal punto che al Maggio Musicale fui chiamata per un lavoro. Lì mi fu detto: perché non  utilizzare il Junior Balletto di Toscana? È una compagnia professionale a tutti gli effetti!
Il mio cuore in ogni caso mi diceva che, nonostante i problemi affrontati, le gioie e le soddisfazioni ottenute con la Compagnia Balletto di Toscana erano un patrimonio inestimabile, tanto da farmi superare le amarezze subite, i denari perduti, le notti insonni. 
Così nasce il Nuovo Balletto di Toscana, un modo per voltare le spalle ai timori e ritrovare quella grinta e determinazione che mi ha accompagnata nella vita.
Oggi la compagnia parte da una base differente: i ballerini sono scelti dal bacino della scuola e l’imprinting è decisamente più contemporaneo rispetto al 1985. I periodi cambiano e anch’io evolvo con il tempo e i cambiamenti.

Quale impressione ha dei coreografi italiani e della danza contemporanea di oggi in Italia?
Ho notato che qualsiasi persona che non riesce a essere danzatore si dedica a creare un gruppo di danza contemporanea ma, se non si ha un’esperienza valida sul proprio corpo, come si fa a trasmettere dinamiche, tecnica, espressività? Oggi gli operatori hanno la necessità di programmare  i giovani e, spesso, noto che sono scelte persone, a mio avviso, con poca professionalità. 
Sono tra quelli che pensano che oltre al talento ci debba essere anche studio e conoscenza.
Molti coreografi di oggi non sanno neanche chi è George Balanchine! Abbiamo bisogno di maggiore competenza, persone più preparate sia a livello di studi specifici della danza che a livello culturale. 

Qual è la sua delusione più grande?
Eric Gauthier ha iniziato come noi, la differenza è che nel suo paese è stato sostenuto, tanto che ora ha un teatro dove far lavorare la compagnia; noi, invece, pur avendo costruito un pezzo  di storia della danza in Italia, siamo stati penalizzati.
Vorrei ricordare che quando portai Preljocaj, all’epoca non era mai stato invitato in Italia da un ente lirico e il suo lavoro a quei tempi era particolarmente innovativo sia per il pubblico che per i ballerini italiani.
Il Comune di Firenze non ha mai dato nulla, eravamo ben sostenuti dalla Regione, ma altre realtà iniziarono a lamentarsi dell’aiuto che ci veniva riservato; ovviamente non pensavo che altre compagnie non dovessero essere aiutate ma perché a scapito di chi aveva ottenuto ottimi risultati e riconoscimenti? 
Così il contributo, negli anni, venne man mano ridotto in modo cospicuo; nel 1997, con l’insediamento della Commissione Danza voluta da Veltroni, ci fu riconosciuto un contributo superiore persino a quello dell’Aterballetto, che però poteva sempre contare sul supporto incondizionato della regione Emilia-Romagna.
In ogni caso, il nostro standard di lavoro era molto alto: è più forte di me, volevo luci, costumi, coreografi e scene di qualità, professionisti di livello, ballerini eccellenti, maitre eccellenti… Non riesco a lavorare diversamente e questo ha procurato alla compagnia debiti a cui io e Riccardo Donnini, abbiamo fatto fronte sino a quando abbiamo potuto, con il nostro patrimonio personale. 
Abbiamo anche avuto opportunità incredibili, ad esempio ci chiamarono a Basilea a sostituire una compagnia che aveva dato forfait e ci pagarono benissimo; Alfio Agostini, il direttore dell’allora Balletto Oggi, parlò di noi a Luca Veggetti per fare le danze della Traviata a Venezia, con la regia del grande Pier Luigi Pizzi; anche in quel caso il cachet fu ragguardevole e non ringrazierò mai abbastanza Alfio perché per un periodo riuscimmo a rimetterci in carreggiata.

Qual è stata la sua maggiore soddisfazione?
L’affetto del pubblico, la stima dei critici tutti ma, in particolare, quella di Vittoria Ottolenghi, che mi ha sempre coinvolta con la compagnia in progetti meravigliosi. Il Balletto di Toscana ha  partecipato più volte a Spoleto, e a  grandi eventi a firma  della Ottolenghi e di Vittoria Cappelli; siamo andati in televisione e in mondovisione, ma soprattutto sempre la  Ottolenghi ci segnalò ad un’agente americano per una tournée meravigliosa di 45 giorni con Mediterranea di Mauro Bigonzetti. Andammo in teatri importantissimi dal Colorado alla California con standing ovation ovunque, sino a quelli di periferia con tremila posti tutti esauriti e le persone in fila per farsi autografare le nostre magliette. Alla prima venne a vederci Jerome Robbins: non credeva fossimo italiani! E vennero molti altri da Isabella Rossellini a Barysnikov. La tournée raggiunse anche il Brasile per due settimane. Un giornale newyorkese ci definì tra i migliori ballerini del mondo ma, nonostante tutto questo, al nostro rientro in Italia nessuno ci chiese della tournée americana.

E invece, un suo rammarico?
Spesso hanno incolpato Riccardo Donnini della mala gestione economica della compagnia, in realtà la colpa è stata mia.
Io ho lavorato in ambiti e conosciuto maestri, coreografi, maestranze, che mi hanno insegnato moltissimo. Non concepivo un lavoro che non rispondesse a canoni di alta qualità e la qualità ha un prezzo. 
Ho voluto spendere, ho speso troppo e ho pagato un prezzo alto, ho perso la mia casa. L’errore, se di errore vogliamo parlare, non lo fece Riccardo.
Ad essere onesta, non ho un rammarico. Guardando indietro rifarei tutto, probabilmente compiendo gli stessi errori.
Ho avuto tempi di benessere, ho vissuto periodi agiati, poi ho affrontato le difficoltà ma con passione. Le mie passioni la cultura, la danza, l’arte, la politica sono una ricchezza che compensa la mancanza di ricchezza materiale. Ho una vita sociale che si svolge a Firenze, lì ci sono i miei amici, la scuola. A Reggio Emilia vivo la mia quotidianità, la città in cui vive mia figlia Sveva che mi aiuta, dove ho vissuto un periodo di serenità grazie al mio lavoro di Direttrice dell’Aterballetto, una città che mi ha accolta e coccolata.
Ora, pensandoci bene, forse un rammarico ce l’ho: il totale disinteresse da parte della politica della città di Firenze, questo mi ha fatto e mi fa male.

Cristina, come vede la danza contemporanea in Italia?
Riconosco merito e innovazione  solo in alcune persone. Il nuovo è abbastanza difficile da trovare.
Certamente ci saranno dei talenti, che se non hanno risorse economiche, spazi, strumenti per poter sperimentare, come possiamo aspettarci che vengano fuori?
Come ho già detto, occorrono competenza, preparazione, umiltà. Certe cose artistiche maturano con gli anni.

Cosa  prospetta il futuro per Il Nuovo Balletto di Toscana?
Ancora mille difficoltà, a dire il vero. Abbiamo già molte date anche in spazi importanti ma per il Ministero dovremmo anche  trovare luoghi più disagiati; un tempo i pagamenti erano generalmente a fine serata, al massimo dopo 10 giorni, oggi devi anticipare tutto e se ti va bene vieni pagato dopo 60 giorni.
Comunque, a parte le problematiche di ordine economico, ci sono grandi soddisfazioni: alla NID Platform il lavoro della compagnia ha ottenuto un ampio consenso da parte degli operatori stranieri. Siamo stati invitati a Mainz, al festival di Belgrado, a la Maison de la Danse de Lyon. La nostra Bayadère, il regno delle ombre, firmata da Michele Di Stefano è andata benissimo. Michele è riuscito a farsi ispirare dalla compagnia, a far calzare il suo lavoro sui singoli elementi, un lavoro differente rispetto a quello che fa con i suoi danzatori e forse proprio questa ne è stata la forza; un lavoro inusuale anche per lui. È stato geniale nel riprendere e rielaborare un balletto di repertorio in chiave contemporanea, ma con quel profumo di classico che ha dato un’impronta raffinata, a tratti seriosa, ma soprattutto poetica. Le musiche di Minkus sono state magistralmente rivisitate da Lorenzo Bianchi Hoesch. Anche Lorenzo ha contribuito alla magia di questo lavoro ben riuscito.
Mario Bermùdez Gil è l’autore di Quatuor pour la fin du temps con le musiche di Olivier Messiaen. L’opera ha debuttato al Teatro Regio di Parma lo scorso 28 maggio, in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura 2021. È un lavoro molto complicato che indaga la sofferenza di quattro musicisti in un campo di concentramento.
Mario ha saputo trattare l’argomento senza retorica e senza cadere in facili cliché.

La compagnia del NBDT proseguirà la sua tournée in Italia e all’estero con Cenerentola, Bayadère-il regno delle ombre, Quatuor pour la fin du temps e una nuova coreografia firmata da Philippe Kratz dal titolo Midnight Youth.


 
Monica Ratti