Un plauso dunque a questa grande e indomita vegliarda che, forte di un'incommensurabile esperienza scenica e direttiva, anche questa volta coopta per il suo NBDT un giovane e ormai affermato autore. A questo proposito basti citare Solitudes Sometimes, coreografato da Kratz per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala nel febbraio 2023 e gli anni passati in Aterballetto come ballerino, che hanno affinato il suo stile e il suo linguaggio d'autore.
The Red Shoes nel titolo richiama la celebre fiaba di Andersen, scritta nel 1845 in pieno Romanticismo, che ispirò l'omonimo film di Michael Powell e Emeric Pressburger del 1948 ambientato nel mondo del balletto e permeato dell'atmosfera postbellica.
A ben guardare però le Red Shoes di Kratz traggono dagli archetipi solo degli spunti per lanciare - come dice Philippe - «delle suggestioni» legate ai condizionamenti consumistici della società capitalista odierna. Una società che spinge a desiderare sempre di più e sempre cose nuove in un gioco perverso di cui sono vittime soprattutto le nuove generazioni rappresentate da K. La Karen della fiaba e qui indicata con la semplice lettera maiuscola che non si redimerà ma - spiega Kratz - «diventerà un mostro» a causa di quella spersonalizzazione e omologazione che travolge i ragazzi e le ragazze di oggi possessori di beni materiali e allo stesso tempo posseduti da questi.
Con uno sguardo lucido e disincantato, grazie anche alla drammaturgia di Sarah Ströble, Philippe lancia un grido d'allarme che si invera in un balletto denso di significato. Il lavoro, di cui il coreografo firma anche la scenografia, ha una struttura binaria rappresentata da due K che si muovono in due spazi antitetici: il mondo reale riflesso nella stanza di K e il mondo virtuale riflesso nella dimensione illusoria dei desideri di K. Attorno alle due protagoniste si muovono le altre tre ballerine e gli altri cinque ballerini in quadri modulati su soli, duetti, insiemi che rispondono alla dualità coreografica accentuata dalle luci rosse e bianche di Giulia Maria Carlotta Pastore, mentre il chiaro dei morbidi e fascianti costumi di Grace Lyell si sposa con il candore della scelta scenografica di Kratz.
Così la danza fluisce inarrestabile e visionaria sulla musica elettronica di Pierfrancesco Perrone e colpisce l'ancoraggio fisico e materico di passi e legati contemporanei che nascono dall'implosione del movimento, e non dalla sua estremizzazione, per sottolineare il 'lavorio' che attanaglia da dentro la psiche giovanile. E resta impressa la scena dei grandi cerchi d'argento, che nascondono e rivelano corpi-desideranti, quella contrassegnata da un enorme e trasparente telo che avvolge K e il manichino con gli scarponcelli rossi, e il finale in cui il gruppo ormai automatizzato ripete il conto dei passi inoltrandosi nel buio di quella società di massa omologante e spersonalizzante, accompagnato dagli applausi del pubblico dell'Alighieri.