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Seducente, affascinante, enigmatica Carmen

Passi di Memoria
Quando
07/04/2016
Genere
Passi di Memoria
Carmen Suite: Alonso e Plisetzkaja e l’ostracismo russo

La splendida Svetlana Zakharova sarà Carmen in Carmen Suite, balletto in un atto su libretto di Alberto Alonso, che andrà in scena il 13 e il 14 di ottobre al Teatro di San Carlo di Napoli. L’étoile, insieme al giovane primo ballerino del Bolshoi Ballet, Denis Rodkin, già apparso al suo fianco nel ruolo di Don José nel 2014 al Marinskiy, interpreterà uno dei ruoli più rappresentativi del mito del balletto russo: la grande Maja Plisetzkaja. Uno dei più memorabili talenti interpretativi della storia del balletto. L’idea di Carmen Suite nacque proprio da Maja Plisetzkaja che nel 1964, chiese al marito, il compositore russo Shchedrin, di comporre per lei una musica per balletto ispirata all’opera di Bizet.

L’opportunità di realizzare il suo sogno le se presentò solo verso la fine del 1966, quando il Balletto Nazionale di Cuba, si fermò a Mosca per la tournée sovietica. In quell’occasione potette avvicinare Alberto Alonso, allora coreografo della compagnia, ed esprimergli la sua ambizione: un balletto ispirato a Carmen tutto per lei. Alonso accettò l’incarico e, tornato a Cuba, elaborò subito il libretto e, con il ballet Nacional, la coreografia, volando in Russia qualche mese più tardi per consegnare il lavoro nelle mani della Plisetzkaja. Le prove iniziali del balletto entusiasmarono Shchedrin che decise finalmente di mettere mano alla partitura e di rendere omaggio a Bizet combinando le famose melodie con qualcosa di nuovo, di fresco e di originale: utilizzando cioè una strumentazione di soli archi e percussioni. Venne fuori una nuova musica i cui ritmi e cambiamenti sottili di note sembrava distorcessero qualcosa di conosciuto, di già noto. La prima di Carmen Suite andò in scena il 20 aprile del 1967 al Teatro Bolshoi di Mosca ma inizialmente non incontrò purtroppo il favore delle gerarchie sovietiche che definirono l’opera “irrispettosa” principalmente per le sue qualità strumentali. Furtseva, allora ministro della cultura, in un colloquio privato con la Plisetzkaya definì la produzione fallimentare, nulla oltre l’erotismo che sfacciatamente inscenava e, sottolineando la mutilazione a suo parere della partitura musicale di Bizet, ne vietò la rappresentazione. Divieto che sarebbe rimasto permanente senza l’intervento di un altro importante compositore di allora, Shostakovic che in qualità di segretario del RSFSR (sindacato dei compositori) intervenne ufficialmente definendo la musica una magistrale trascrizione di Bizet che ne rendeva efficacie la danza. Ma le interferenze non erano finite, Furtseva fece in modo di far saltare il tour previsto a Toronto per l’Expo 1967, non firmando il contratto all’impresario canadese che si era recato in Russia appositamente, l’obiezione era il costume troppo provocante indossato dalla Plisetzkaya. In realtà Furtseva accusava la danzatrice di tradire la tradizione del balletto classico russo ma al di là della battaglia che intercorse fra i due Carmen Suite riscosse buone critiche. In concomitanza alla produzione del Bolshoi, Carmen Suite andò in scena nell’agosto dello stesso anno al Gran Teatro di L’Avana con Alicia Alonso nel ruolo di Carmen. Nonostante le poche rappresentazioni tra cui quella del 1968 durante il tour in Grand Bretagna, e quella scaligera a Milano nel 1975 Carmen Suite rimane un’opera molto conosciuta al pubblico grazie anche alla Plisetzkaya che come poche ha sostenuto il ruolo della zingara dando spessore psicologico al personaggio divenendo una delle più grandi Carmen del Novecento.

 

Ma la prima Carmen fu marsigliese: Zizi Jeanmarie.

Ma è di Roland Petit il merito di aver messo le punte alla zingara di Mérimée e di Bizet. Nel 1949 crea Carmen, balletto drammatico in un atto e cinque quadri per i Ballets de Paris con una fortunatissima prima rappresentazione al Prince’s Theatre di Londra con lui stesso nei panni di Don José e la carismatica Zizi Jeanmarie in quello di Carmen. I due contribuirono al grande successo dell’Opera, a cui concorsero pure le scenografie e i costumi realizzati dal noto artista Antoni Clavé; successo che si perpetuò per circa 12 settimane e anche all’estero nelle repliche newyorkesi. Non mancò qualche critica negativa dovuta forse al fatto che Petit, con l’intento di dare maggior rilievo all’amore impossibile tra i due amanti, avesse abolito alcuni personaggi della novella. L’amore e la sfida insieme all’attrazione e al desiderio di fuga sono i tratti dominanti di questa Carmen in cui i protagonisti sembrano passare continuamente dal ruolo del vincitore e quello del vinto, assumendo a volte una doppia valenza, umana e animale. Scena emblematica è l’avanzare di lui con passi che scandiscono i ritmi dell’Habanera, in uno spazio creato dai danzatori che allude all’arena che ricorda a volte il toreador e a volte il toro con gli zoccoli scalpitanti il suolo. Ma è l’interpretazione di Zizi Jeanmarie a fare di Carmen il personaggio simbolo della seduzione teatrale. In un succinto costume nero, con le calze velate bianche, e un caschetto nero a sostituire la classica acconciatura a chignon, muove una danza seducente, erotica, provocatrice di gelosia. Ma non è con la bellezza del suo volto e del costume che Zizì seduce. Sono i movimenti avvenenti della schiena, del collo, delle mani e più di tutti le sue leggendarie gambe in arabesques o in développé fuori asse. Movimenti ai quali contrappone anche posture mascoline di braccia, simbolo della forza femminile in Carmen. Zizi Jeanmarie nome d’arte di René Marcelle Jeanmarie, danzava nel corpo di ballo dell’Operà quando entrò a far parte del gruppo di Roland Petit nel ’54. I successi di Carmen le aprirono la strada della celebrità non solo nel mondo del balletto ma anche del musical e della discografia.

Nel 1960 Petit produsse la sua Carmen per la compagnia del Balletto Reale Danese ma già dall’anno stesso della prima produzione altre danzatrici scoprivano l’affascinante ruolo principale emulando Zizi: Natalia Makarova, Moira Shearer, Colette Marchand, Elisabetta Terabust, Dominique Khalfouni ed altre ancora. Ma la grande Carmen del balletto rimane quella di Petit: perfetta nella sua procace eleganza. La sfrontata, arrogante e sensuale Zizi.


Una Carmen tutta italiana anzi palermitana

E’ quella creata da Amedeo Amodio nel ‘95, allora direttore dell’Aterballetto di Reggio Emilia, che seppur rispettosa delle tradizioni, appare molto creativa. Ispirata ai fumetti di Corto Maltese di Hugo Pratt, pervasa di sapori spagnoli, il cui pretesto letterario poggia sulla dimensione onirica. Il balletto comincia con l’ultimo quadro, la morte di Carmen. Ma è una recita a sipario chiuso: i tecnici cominciano a smontare e svuotare le scene mentre gli artisti si tolgono i costumi tornando alla vita reale. Tuttavia qualcosa di anomalo accade. La storia appena rappresentata ha stregato la gente del teatro e qualcuno la riprende, una violinista e un autista si scontrano ed ecco lo scatto: lei diventa Carmen, lui Don José, insieme ai due replicanti anche gli altri colleghi si appropriano dei vari personaggi mentre le scene materialmente spariscono. I militari questa volta sembrano usciti dai fumetti di Corto Maltese, contrabbandieri dall’aspetto di gangsters dai costumi dai colori sgargianti che si stagliano contro la vacuità della scena che è ora una prigione yenkee. Amodio ricostruisce la sua Carmen per la Scala nel 2005 ma a parere del critico Mario Pasi la sua rilettura meglio si adattava ai giovani di Reggio Emilia in quanto i danzatori scaligeri, compresi i protagonisti Bolle e Romagna, apparivano sovente fuori clima. Definendolo nel suo articolo un balletto dai risultati alterni: un buon passo a due, un Escamillo senza rilievo, una Micaela la più brava e intensa e un finale che forse sarà gestito meglio nelle repliche.

Lusinghiere sono invece le critiche qualche anno più tardi quando, nel marzo del 2014 il balletto, da poco reduce dalle scene del Teatro Storchi di Modena, rivive al Teatro Massimo di Palermo con protagonista l’étoile dell’Opéra di Paris, la palermitana Eleonora Abbagnato. Molto legata a questo ruolo in quanto nominata étoile proprio al termine della recita di Carmen, l’Abbagnato ci regala un’immagine della zingara diversa da quella di Petit e di Bizet. È una creatura d’amore: lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena, una gonna lunga di un rosso sgargiante in contrasto con l’addome nudo ed etereo. Un ridotto top di merletto nero che vela anche le braccia, i piedi a volte in punta e a volte scalzi la rendono magnificamente una donna dolcemente sensuale, piacevole, sfrontata, seducente e sedotta ma non più una peccatrice bensì un’eroina, una santa.

Carmen seduce Cannes

Dal teatro allo schermo è il salto della Carmen di Antonio Gades e del regista Carlos Saura: “Carmen Story” . Il film prodotto nel ‘93, insieme a “Nozze di sangue” e “L’amore stregone”, da luogo ad una trilogia inedita nella storia della danza spagnola in cui Gades si fa interprete. Questa volta il destino di Carmen si completa in un angolo della sala prove dove Antonio è un coreografo e ballerino di flamenco che cerca una ballerina per il suo nuovo lavoro ispirato alla storia di Carmen. La trova giovane, bellissima ed enigmatica, preferendola alla più matura Cristina. Dall’inizio delle prove tra i due nasce un’ irrefrenabile passione, intrisa però di paure e ombre. I confini tra la storia immaginaria e le prove della coreografia si fanno via via sempre più labili come gli amori, l’odio, la rivalità, la gelosia passano continuamente tra il vero e il fittizio, il tutto accompagnato da un ritmo cadenzato a volte frenetico a volte silente e minaccioso. Seconda della trilogia, dopo “Nozze di sangue”, Carmen Story ottiene un tale favore dal pubblico e dalla critica da stare al passo con l’adattamento cinematografico di Francesco Risi dell’84 con Placido Domingo. Nominato all’Oscar come miglior film straniero. In Concorso al 36° festival di Cannes vinse Il Gran Prix Tecnico.

Una Carmen vietata ai minori

Carmen in calembour diventa “Car Man” dramma dell’effervescente coreografo britannico Matthew Bourne con gli arrangiamenti di Rodion Shedrin e Terry Davis. Adattamento del romanzo di James M. Ca “Il Postino suona sempre due volte” ma anche omaggio al cinema di Visconti con numerosi riferimenti al cinema noir. L’azione, ambientata negli anni ’60, si consuma per un tempo narrativo di nove mesi in una piccola comunità italo-americana nella città di Harmony negli Stati Uniti d’America.

L’opera, la più acclamata del Bourne, è andata in scena per la prima volta in Inghilterra nel maggio del 2000 al Theatre Royal di Plymouth. Con scene esplicitamente intrise di sesso, violenza e anche autoerotismo è apparsa lo scorso luglio nel tabellone del Teatro Alighieri di Ravenna col post scriptum: vietata ai minori di 14 anni.

Non posso esimermi dal menzionare altri due grandi coreografi anch’essi sedotti dalla gitana di Mérimée e Bizet: John Cranio e Mats Ek i cui capolavori hanno contribuito a mitizzare la zingara di tutti i tempi.

Fabiola Pasqualitto