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Roberto Bolle e la sua danza “universale”

L'intervista
Quando
01/01/2021
Genere
L'intervista

Roberto Bolle. Bastano un nome e un cognome per fermare il tempo e iniziare a sognare. Talentuoso, grintoso, determinato, è solo un bambino quando si innamora perdutamente della danza. A dodici anni, supera le audizioni per entrare nella scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano: è l’inizio di una meravigliosa favola destinata a non finire mai. A vent’anni debutta nel ruolo di Romeo e due anni dopo regala emozioni alla Royal Opera House di Londra, esibendosi alla Royal Albert Hall, al cospetto della Famiglia Reale. Con lui la danza si mostra per quello che realmente è: un’arte sopraffina dal fascino innegabile. La carriera di Roberto Bolle è costellata di successi apprezzati e acclamati da tutti, ma nello stesso tempo di sacrifici. E sono proprio quei sacrifici, accompagnati dal duro lavoro, a farlo volare in alto.

Balla accanto a stelle internazionali, tra le quali Altina Asylmurativa, Darcey Bussel e Alessandra Ferri, incantando i più prestigiosi palcoscenici mondiali. Primo ballerino dell’American Ballet Theatre e contemporaneamente étoile del Teatro alla Scala, dal 1999 Roberto è ambasciatore dell’UNICEF, perché la danza è anche solidarietà. Il mondo sta attraversando un periodo buio e burrascoso; ma la danza ha lo straordinario potere di illuminare i volti e riscaldare i cuori. Dopo l’uscita in tutte le librerie di Parole che danzano, il libro autobiografico edito da Rizzoli, Roberto Bolle tornerà ad emozionare in punta di piedi nel 2021: il primo gennaio, in prima serata su Rai Uno, andrà in onda “Danza con me” e da  metà gennaio su Tim Vision verranno trasmesse le Masterclass di OnDance.

Roberto, il tuo cuore quando ha iniziato a battere per la danza?
Ero un bambino e rimanevo affascinato ogni qualvolta alla televisione passava un qualsiasi tipo di ballo. A 6 anni chiesi a mia madre di iscrivermi ad una scuola di danza. Lei mi disse di aspettare l’anno successivo e finire il corso di nuoto. Se fossi stato ancora convinto mi avrebbe accontentato. Non cambiai mai idea. E ora sono qui.

A 12 anni superi l’audizione per entrare alla scuola di Ballo del Teatro alla Scala.  Eri solo un bambino, come hai reagito?
Ero molto spaventato, l’idea di lasciare la mia famiglia e trasferirmi a Milano mi terrorizzava, ma grazie al supporto dei miei genitori e dei miei fratelli, riuscii a tenere duro. Fu un periodo difficile, avevo spesso ripensamenti e la distanza di casa si faceva sentire molto forte. Ma ne è valsa la pena. Lo rifarei cento volte.

Rudolf Nureyev ti vuole per il ruolo di Tadzio in “Morte a Venezia”, ma il Teatro non dà il permesso a causa della tua giovane età. Questo episodio ha influito positivamente o negativamente sul tuo percorso? 
All’inizio non mi davo pace, pensavo di essermi giocato la mia chance. Ma col senno di poi fu la cosa giusta per me, ero immaturo, avrei rischiato di bruciarmi.

Hai incantato i più prestigiosi palcoscenici del mondo. Ce n’è uno in particolare in cui torneresti ad esibirti?
Tutti i teatri e i palchi sono importanti e adesso mi mancano tutti. Spero di tornare a calcarli appena questo incubo finirà.

Danzare a soli 22 anni al cospetto della Famiglia Reale cos’ha significato per te? 
Un’emozione grandissima. In particolare di quell’occasione ricordo lo sguardo dolce e curioso di Lady Diana. Aveva un’energia che non si dimentica.

Primo ballerino dell’American Ballet Theatre di New York e contemporaneamente étoile della Scala.  Sei la dimostrazione lampante che con sacrificio, amore e passione i sogni si avverano, oltre naturalmente ad essere un esempio per i giovani danzatori di tutto il pianeta. C’è un messaggio che vuoi lanciare loro?
È importante spronare i giovani ad inseguire i propri sogni e a non cercare scorciatoie. Nella vita i successi duraturi sono quelli che si ottengono con l’impegno, il sacrificio, il lavoro. E bisogna studiare, conoscere, essere informati, ma veramente profondamente. Con internet si ha l’illusione di sapere tutto, ma il rischio è quello di non capire nulla.

Il periodo lavorativo all’American Ballet Theatre come è stato?
Intenso, emozionante, durissimo. L’ABT è una vera e propria finestra su quanto di meglio di muove nell’ambito della danza a livello internazionale. I ritmi sono forsennati, la competizione è altissima perché lì si concentrano i migliori ballerini di tutto il mondo. È stata un’esperienza incredibile, dieci anni indimenticabili.

Il 20 giugno 2019 dici addio alle scene dell’ABT di New York. Che eredità hai lasciato al pubblico americano? 
Questo andrebbe chiesto a loro. Quello che so è che a me questi dieci anni hanno regalato tantissimo, non solo come ballerino, ma anche come uomo. Ho sempre viaggiato molto, ma a New York ho messo delle radici, si può dire che sia diventata per me una sorta di terza casa dopo la famiglia e Milano.

Sei stato Direttore Artistico della prima e seconda edizione di “On|Dance Accendiamo la danza”.   Roberto Bolle in veste di Direttore Artistico com’è?
Sono sempre Direttore Artistico dei miei progetti che amo non solo ideare, ma anche guidare, controllare, sviluppare. Sono molto puntiglioso, ma nell’organizzazione so demandare ai miei collaboratori fidati. Siamo un team affiatato. Credo di non cavarmela male come ‘capo’, ma anche questo andrebbe chiesto agli altri.

Il tuo libro è uscito in un periodo molto  difficile per il mondo della danza e non solo. Può essere considerato una rinascita artistica?
La rinascita artistica ahimé deve ancora arrivare e la stiamo aspettando con ansia, come artisti e anche come pubblico. Sarà un periodo lungo e difficile perché le ferite che questa pandemia si porta dietro non guariranno velocemente. Parlo di tante realtà che non sopravviveranno, di intere famiglie in difficoltà, di piccole ma importanti fucine di arti che se già prima facevano fatica a stare in piedi, adesso non hanno più ossigeno. Il mondo dello spettacolo e dell’arte non è chiaramente l’unico a soffrire tanto di questo periodo, ma sicuramente è tra quelli più colpiti.

“Parole che danzano”.  Con quali parole definisci la tua straordinaria carriera?
Io mi sono sempre impegnato molto. Non mi sono spaventato davanti a rinunce, dolore, fatica. La disciplina è sempre stata importante per me. Imparare a cadere e a rialzarmi mi è servito molto. La famiglia mi ha sostenuto, la ricerca della perfezione mi ha sempre mosso. Amo sperimentare, sono in perenne ascolto del mondo che mi circonda. Sono molte le parole importanti del libro, della mia danza e quindi della mia vita.

Nel libro ti racconti artisticamente, ma anche umanamente.  Qual è il capitolo che non smetteresti mai di leggere?
Complice il lockdown, per scrivere questo libro ho scavato molto anche nel passato, nella mia infanzia. Mi commuovo a ricordare il bambino che sono stato, i dubbi del ragazzo, le conquiste del giovane. Mi emoziona ripensare all’operazione che ho subito. Sono tante le cose che mi piace rileggere. Ho scoperto molte cose di me scrivendo questo libro, forse ho fatto i conti anche con passaggi della mia vita su cui non avevo avuto tempo di soffermarmi.

La danza vista dagli occhi di Roberto Bolle che danza è?
Universale: un grande abbraccio a tutti, stretto come non si può fare adesso e largo per lasciare il proprio spazio di espressione a ciascuno.

Quale messaggio è racchiuso nel libro?
La passione può tutto.

“Danza con me!” tornerà nel 2021.  Cosa ti aspetti?
Non mi aspetto nulla, ma spero che piaccia a tanti. Che sia ristoro per questo periodo così terribile. Che sia arte che sa intrattenere che sa coinvolgere, che affascina e sorprende. Vedremo, ce l’abbiamo messa tutta.

Michela Micheli