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Les biches capolavoro danzato sui folli anni ‘20

Passi di Memoria
Quando
06/01/2022
Genere
Passi di Memoria
Questo mese ricordiamo la prima rappresentazione del balletto Les biches, in italiano Le cerbiatte, andato in scena il 6 gennaio del 1924 al Teatro del Casinò di Montecarlo ad opera dei Balletti russi di Sergej Djagilev. 

«Insomma con questo balletto sapete cosa sembra di vedere? Dalla casa di fronte, una mano maliziosa, perfida, abile, con uno specchietto dirige un raggio di sole su un viso di donna»
                                                                                                                                              (Jean Cocteau)

Les biches, successo di Bronislava Nijinska
Siamo negli anni venti e nel salone di una villa nel sud della Francia si sta tenendo un party animato da ritmi jazz. Tre ragazzi mettono in mostra i loro muscoli di fronte a ragazze navigate, ci sono, inoltre, una strana e ambigua ragazza vestita di blu, alcune ragazze con lunghe piume sulla testa e sigaretta con bocchino che continuano a ridere scioccamente e altre due donne attratte l’una dall’altra. È la scena de Les biches, balletto capolavoro degli anni ‘20 che, dal soggetto quasi inesistente, sfiora il surrealismo con un’immaginaria situazione intrisa di leggerezza, ambiguità e sessualità. Il balletto in un atto fu commissionato da Djagilev al giovane compositore francese Francis Poulenc. La sceneggiatura fu affidata a Jean Cocteau e l’adattamento scenografico e i costumi a Marie Laurencin, artista molto apprezzata negli ambienti mondani parigini. Les biches fu coreografato da Bronislava Nijinska, sorella di Vaslav Nijinsky che, intenzionata a presentare il suo lavoro come un’opera innovativa, prese spunto dai balli di sala in voga in quel momento e creò movimenti di braccia dalle linee spezzate diversi dai tradizionali port des bras classici. Nijinska ne fu anche interprete nelle parte dell’elegante padrona di casa (L’Hôtesse) accanto a Vera Nemtchinova l’enigmatica Dame en Bleu. Altri interpreti furono Tchernicheva, Sokolova, Vilzak, Woizikovsky e Zverev. Les Biches, insieme a Les noces dell’anno precedente e Le train bleu del giugno dello stesso anno, costituisce la trilogia di successi della Nijinska passati alla storia della danza del Novecento. Le musiche e la coreografia conquistarono il pubblico e la critica tanto che Djagilev ne organizzò subito il debutto francese al Théâtre des Champs-Élysées il 26 maggio. Al successo parigino seguì quello londinese del 1925 e del 1926 al Coliseum Theatre.


 
Le biches, primo balletto di Poulenc
«La première di Les Biches è stata, se posso dirlo, un trionfo. Ci sono state otto chiamate alla ribalta, cosa rarissima per Montecarlo».
(Francis Poulenc)

Les biches, fu la prima musica per balletto di Poulenc. Egli aveva composto qualche anno prima (1921) il balletto Les mariés de la tour Eiffel, anch’esso su libretto di Cocteau ma insieme ai suoi amici del “Gruppo dei sei”, i francesi Milhaud, Honegger, Tailleferre, Auric e Durey. Djagilev gli aveva richiesto qualcosa che ricordasse “Les Sylphides” di Fokin rappresentato nel 1901 su musiche di Chopin eseguite da Glazunov. Poulenc prese ispirazione da un dipinto di Wattau dal titolo “Le Parc aux Biches”, in cui era rappresentata una scena idilliaca del Settecento francese. Creò un unico atto con coro composto da brani leggeri e giocosi, indipendenti l’uno dall’altro: Ouverture, Rondeau, Chanson dansée, Adagietto, Jeu, Rag-mazurka, Andantino, Chanson dansée e Finale. Il coro nascosto fungeva da raccordo tra un brano e l’altro e richiamava gli stati d’animo dei protagonisti nei momenti più drammatici dell’opera. L’organico era così costituito da un coro misto, un ottavino, due flauti, due oboi, un corno inglese, due clarinetti, un clarinetto basso, due fagotti, un controfagotto, quattro corni, tre trombe, tre tromboni, un basso tuba, un’arpa, una celesta e da archi, timpani, percussioni e glockenspiel. Nel 1940 del balletto Poulenc ne trasse una suite. A partire dal 1933 egli fu autore anche di diverse composizioni di musica da scena per diverse pièce.

 
Un balletto d’avanguardia, un balletto femminista
Con Les biches Djagilev confermava ancora una volta la sua tendenza a precorrere i tempi e i Ballets russes oramai erano manifesto dell’avanguardia artistica. La novità, più di tutte le altre, era la “bellezza androgina”: la donna col taglio corto dei capelli, gli abiti e l’atteggiamento al maschile. Era uscito da nemmeno un anno il romanzo La garçonne del celebre Victor Margueritte: un vero e proprio best seller dell’epoca in cui la protagonista, umiliata dal tradimento del suo uomo, si vendica cercando l’emancipazione in occasioni libertine facendo esperienze di diverso tipo con donne e con uomini, intesi, questi ultimi, come semplici strumenti di piacere. Cocteau scrisse una storia senza una vera trama che descriveva scene di corteggiamento durante un’elegante festa mondana. Nel salotto della villa civettano delle “garçonnes” nell’attesa dell’arrivo degli ospiti. Intanto tre audaci e giovani sportivi cercano di attirare i loro sguardi ammirati. Uno di loro viene sedotto dal fascino di una nuova ospite, una “signora in blu” con la quale scompare mentre gli altri due rimangono a flirtare con le giovani. Ecco un po’ dopo l’arrivo della padrona di casa che, fumando una sigaretta, si siede anch’essa sul divano, cominciano nuovi giochi di seduzione mentre i personaggi scompaiono e riappaiono in compagnia di pretendenti per tutta l’opera. Insomma, un quadro sui folli anni ’20 in cui protagonista è la donna libera e sessualmente emancipata. Come fece per Le train bleu dell’anno prima, Cocteau creò una sceneggiatura fantastica che lasciava molto all’immaginazione dello spettatore. Riferendosi alla sensualità e ambiguità che effondeva disse: “Insomma con questo balletto sapete cosa sembra di vedere? Dalla casa di fronte, una mano maliziosa, perfida, abile, con uno specchietto dirige un raggio di sole su un viso di donna”. Più ironica fu invece la descrizione che fece Poulenc del suo lavoro: “un ricevimento in un salotto contemporaneo immerso in un’atmosfera di libertinaggio che provi solo se sei iniziato, ma di cui una ragazza innocente non sarebbe mai a conoscenza”. 

 
La donna icona di Marie Laurencin 
Ritrattista affermata dell’ambiente mondano femminile, Marie Laurencin curò le scenografie e i costumi come una vera stiliste modéliste. Dopo un primo momento di incertezze, dovute a incomprensioni con i suoi collaboratori e alla scarsa realizzazione dei bozzetti, decise di dare un taglio alle lunghezze degli abiti o meglio eliminarli. Le ballerine indossarono solo giacche maschili di velluto sopra il body mentre le gambe rimanevano nude, con soli collants chiari. Determinante per l’immagine di una donna “maschietta”, erano poi i capelli corti, una Marlboro sempre accesa in un lungo bocchino e un bicchiere pieno di alcol in mano. Le lunghe collane di perle e il rossetto rosso assicuravano la femminilità e rappresentavano l’altra “metà donna”. Un outfit, come diremmo oggi, che piacque alle donne di allora perché in molte vi si rispecchiavano. In poco tempo questa immagine divenne l’icona della donna spregiudicata, ribelle, determinata, sicura di sé. La donna simbolo degli anni ’20 e ‘30.

Nella foto: 
Anatole Vilzak e Vera Nemchinova in "Les Biches",1924. (© Collezione del Library of Congress)
Fabiola Pasqualitto