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Jeanne Yasko

Personaggi
Quando
09/05/2016
Genere
Personaggi
L’occasione dell’unica tappa italiana di EDge 2016 a Napoli ci ha consentito di conoscere da vicino la realtà britannica della danza contemporanea, studiata e messa in scena in ambito universitario nei migliori college di Londra. 
Abbiamo intervistato Jeanne Yasko, la protagonista del progetto british importato audacemente da Emma Cianchi a Napoli, attraverso un lavoro certosino sperimentato sul campo d’Oltremanica dal coreografo e docente di tecnica contemporanea Fortunato Angelini. 
Con loro abbiamo scoperto il mondo nuovo della danza contemporanea, vista dal di là della cattedra, in una sala itinerante che porta i migliori danzatori della London Contemporary in giro per il mondo. Lui stesso talento del vivaio londinese, Fortunato Angelini ha provato sin dal 2011 a scuotere gli stantii animi della danza contemporanea italiana con il primo appuntamento LC3 a Napoli e Firenze, rispettivamente presso l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli e l’Università degli Studi di Firenze. 
Allora i risultati furono altalenanti in termini numerici ma, evidentemente, significativi sotto l’aspetto laboratoriale e sperimentale con le premesse di un secondo appuntamento previsto per il biennio successivo. 
Nel 2013, puntuali, si incrociano nuovamente nella sola Napoli i destini della danza contemporanea italiana con quella più collaudata inglese con risultati più incoraggianti, con i primi allievi italiani a cercar fortuna proprio in Inghilterra. Ed a Napoli ancora una volta si prova a migliorare la sinergia con lo spettacolo previsto al Teatro Bellini di Napoli di quest’anno di cui proprio la mente Jeanne Yasko ci ha spiegato nei dettagli onori ed oneri del presente e, soprattutto, della prospettiva futura. 

Quali sono i criteri adottati per la scelta dei coreografi di EDge 2016? 
Innanzitutto abbiamo scelto coreografi provenienti da differenti scuole di pensiero, aprendoci ad esperienze circensi, urban, phisical, teatrali, concettuali, classiche e tante altre. I nostri coreografi, proprio come i danzatori scelti, sono e saranno sempre della più ampia apertura possibile. I nomi di quest’anno Philippe Blanchard, Tom Roden, Joseph Toonga e Alexander Whitley lo dimostrano ampiamente, soprattutto se pensiamo alla loro eterogenea provenienza. Del resto vogliamo che i nostri allievi lavorino da subito con coreografi indipendenti o membri di compagini già affermate e consolidate. 

Partendo da questi nomi e da questi propositi, quali sono i progetti per il futuro di EDge? 
Alla fine del corrente EDge abbiamo previsto una collaborazione con la Casa de Arte di Famalicao in Portogallo, ennesima residenza in giro per il vecchio continente per importare ed esportare reciprocamente esperienze di danza. Contaminazioni di uomini, generi e residenze, proprio come i nuovi titoli del prossimo repertorio di EDge previsti nel 2016-2017, appannaggio dei coreografi Allen e Karen Kaeja (Kaeja Dance) di Toronto, dei coreografi londinesi Tony Adigun e Patricia Okenwa e la ripresa di un titolo del repertorio della coreografa Shobana Jeyasingh. 

Cosa ne pensa della danza contemporanea in Italia? 
Le mie uniche esperienze di lavoro in Italia sono legate all’insegnamento presso il PAC Studios di Roma, con i direttori Andrea Palombi e Sara Lourenco, e la mia partecipazione in commissione al Premio Roma Danza 2015. Senza dimenticare l’apporto entusiasmante del direttore del Balletto di Roma Roberto Casarotto e certamente Mauro Bigonzetti, non a caso nominato di recente direttore della compagnia di balletto del Teatro Alla Scala di Milano. Sono altresì felice di sapere che il prossimo anno EDge annovererà altri quattro danzatori italiani. 

In questi termini il palcoscenico italiano ed europeo della tournée diviene il banco di prova degli anni passati a studiare danza contemporanea, in un contest che Fortunato Angelini sta provando a mutuare nell’esperienza nostrana, soprattutto in questa fase interlocutoria tra il passato dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma e il futuro sempre più europeo alle nostre porte.  
Massimiliano Craus