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Intervista a Renato Zanella

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11/01/2021
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“Nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta” scriveva Omero nell’Odissea. Eppure sono tanti gli italiani anche giovani che nel corso della storia hanno dovuto strappare le proprie radici per trapiantarle in luoghi lontani alla ricerca della propria indipendenza e/o sopravvivenza o semplicemente per inseguire un sogno. Tra gli artisti nostrani che rappresentano in maniera eclatante questa categoria vi è indubbiamente Renato Zanella.

Nato nel 1961 da padre veronese e madre bolzanina, Zanella è tra i professionisti del settore danza più apprezzati a livello internazionale.

Comincia a muovere i primi passi nella sua città natale, Verona, ma subito dopo il diploma di maturità decide di trasferirsi a Cannes per completare la sua formazione artistica di danza classica all'Ecole Superieure de Danse di Rosella Hightower.  È il 1982 la data che segna l’inizio di una scintillante carriera che lo porta ad affermarsi in tutti i teatri del mondo lavorando prima come danzatore ed interprete su coreografie di John Cranko, Maurice Béjárt, Jiri Kylián, Mats Ek, John Neumeier, William Forsythe, Azary Plisetsky, Glen Tetley, Kenneth MacMillan e molti altri; poi come coreografo di geniali creazioni interpretate da stelle internazionali del calibro di Carla Fracci, Marcia Haydée, Sue-Jin Kang, Eleonora Abbagnato, Dorothée Gilbert, Myrna Kamara, Simona Noja, Polina Semionova, Olga Esina, Shoko Nakamura, Maria Yakovleva, Liudmila Konovalova, Richard Cragun, Egon Madsen, Roberto Bolle, Tamas Detrich, Vladimir Malakhov, Tamas Solymosi, Manuel Legris, Nicholas Le Riche, Giuseppe Picone, Alessio Carbone, Ugo Ranieri, Mario Marozzi, Davide Dato, Eno Peci,

Denys Cherevychko; ed ancora come direttore di importanti corpi di ballo come il Wiener Staatsoper Ballett, l’Opera Nazionale di Atene, l’Arena di Verona e l’Opera Nazionale di Bucarest. Dopo quasi quarant’anni Renato Zanella torna in patria con un nuovo incarico, quello di neo direttore della Stagione “InDanza” nell’ambito del circuito ”Bolzano Danza”, con l’obbiettivo di valorizzare la danza italiana attraverso i suoi talenti.

Noi lo abbiamo intervistato con la speranza che il suo percorso artistico, caratterizzato da coraggio, impegno, sacrificio, ingegno e tenacia possa essere fonte di ispirazione per i nostri giovani lettori ed aspiranti danzatori che ambiscono ad un futuro brillante. 

Qual’è stata la scintilla che l’ha spinta a trasferirsi all’estero?
Fu Jean Marjon, un insegnate francese  che incontrai in un workshop a Vicenza, il quale mi disse che se volevo imparare questa professione sarei dovuto andare all’estero.

Sapevo di dover imparare più velocemente visto che avevo cominciato tardi. Tante cose accaddero in quel periodo: la morte di mia  madre, il servizio militare che non volevo fare, un’ audizione a Torino dove non fui trattato bene e appunto la tanta voglia di imparare. Conoscevo la disciplina e il duro training dello sport (giocavo a pallacanestro allora). In quel momento lasciare tutto ed andarmene fu la decisione giusta.

Ci racconti qualche aneddoto legato ai sacrifici che ha dovuto fare agli inizi della sua carriera.
Adesso ci rido sopra, ma in realtà quella famosa borsa di studio che presi a Cannes non era altro che una attività lavorativa, per lo più nella cucina dell’ Ecole Superior de Dance, sei ore al giorno per sette giorni. Con questo però mi garantivano vitto e alloggio, ma soprattutto potevo seguire tutti i corsi che volevo ed io credetemi, non me ne perdevo uno. Furono due anni molto significativi, accompagnati  sempre dallo stesso obbiettivo: quello di poter ballare un giorno da professionista. La presenza di insegnanti provenienti da importanti scuole e compagnie e la frequente partecipazione ai corsi dei grandi della danza del tempo era pura ispirazione.

Come andò la sua prima audizione?
Fu a Basilea, per la compagnia diretta da Heinz Spoerli, un artista che influì molto sui miei primi passi nel mondo professionale. La verità è che fu una vera avventura! Un giorno di congedo dalle cucine e di fatto l’unica audizione che ebbi il permesso di fare. Nel tardo pomeriggio, recandomi alla stazione, caddi dal mio skateboard ferendomi abbastanza seriamente alla schiena e al fianco sinistro. Di conseguenza la notte sul treno la passai in bianco. Arrivato a Basilea non potevo quasi reggermi in piedi, ma nonostante tutto passai quinto in graduatoria su un centinaio di canditati. Mai avuto una schiena cosí rigida e mai girato cosí tanto come quel giorno. I posti erano quattro, ma mentre uscivo dal teatro mi richiamarono per propormi un contratto visto che uno di loro si era ritirato. Immaginate la gioia!

Il nome del coreografo, il ruolo, la partner ed il teatro che più in assoluto hanno rappresentato la sua carriera.
Difficile darne uno quando per mia fortuna in quel periodo potei creare lavori con Heinz Spoerli, John Neumeier, Maurice Béjart, Mats Ek, Jiri Kylián, Hans van Manen per citarne alcuni. Chiaramente a Stoccarda ballare il repertorio di John Cranko portato avanti dalla leggendaria Marcia Haydée non può non lasciarti il segno. Il ruolo fu “Poème de l’extase” dello stesso Cranko che ebbi la fortuna di ballare con Marcia Haydée. Sono ancora incredulo, quando penso che partendo dalla mia piccola scuola in un seminterrato di Verona, solo dopo pochi anni, abbia potuto avvicinarmi a questa realtà.

Tra danzatore, coreografo, regista e direttore, in quale veste si sente più a suo agio?
Domanda difficile, perché questi ruoli si alternano continuamente nella quotidianità. Ma confesso che mi piace  molto e mi ritengo fortunato per questo. Il ruolo di Direttore sta prevalendo negli ultimi mesi poiché sono in preparazione per dirigere la prossima stagione “inDanza” presso il Centro Servizi Culturali di Trento. Il Centro Coreografico iniziato due anni fa in Austria e le attività freelance mi danno enormi soddisfazioni e il tanto lavoro non mi ha mai spaventato.

Oggi è considerato un modello per le nuove generazioni. Lei invece, a chi si è ispirato durante il suo percorso?
L’ispirazione più grande è arrivata da chi ha creduto in me e mi ha spinto a continuare e a non mollare. Oggi mi ispira il futuro e la responsabilità che abbiamo verso le nuove generazioni. La lezione più grande la sto ricevendo dai miei quattro figli e mi impegno ogni giorno ad insegnare loro che l’etica, il merito e il duro lavoro alla fine ripagano sempre.

Qual è la sensazione nel ritornare il Italia dopo tanti anni, ma soprattutto gli obbiettivi che si è prefissato di raggiungere attraverso questo nuovo incarico?
Una grande gioia. La breve esperienza a Verona che ebbi parallelamente alla direzione ad Atene mi hanno dato grandi soddisfazioni dal punto di vista artistico, ma grandi delusioni da quello politico-amministrativo.

Non pensavo sarei mai ritornato, ma con questa sfida in Trentino-Alto Adige credo di poter affrontare la danza in Italia da un’altro punto di vista, più costruttivo ed innovativo. 

A novembre farà parte della prestigiosa giuria del “Concorso DanzaSì”. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono un vero talento da un semplice aspirante danzatore?
I concorsi sono una cosa seria e vi é una grande responsabilità nell’essere membro di una giuria. In un concorso si guarda innanzitutto il potenziale, il talento artistico e la padronanza scenica. Va più in là di un programma televisivo o di un casting show. Niente di personale, ma la danza si fa a teatro e appartiene allo spettacolo dal vivo. La nostra arte sopravviverà solo se resterà nel luogo in cui è nata.

La sua esperienza all’estero sarà di aiuto per indirizzare la danza italiana ad una reale rinascita ?
La danza italiana deve rinascere solo dalla sua disastrosa situazione politico-amministrativa, creando strutture solide e apolitiche. Di certo non mancano né scuole né talenti.

Però ci tengo a precisare che la danza è un’arte internazionale. One Art one world. Siamo europei ma se il tuo paese non ti da possibilità di lavoro, credo sia lecito cercarle altrove. Trovo sia giusto che i nostri giovani vadano dove trovano stabilità, rispetto e continuità, proprio come ho fatto anch’io.

Il suo ritorno in Italia può essere considerato momentaneo o definitivo?
Torno in Italia in un momento delicatissimo, dove occorre tenere alta la testa e difendere valori forti, nuotando controcorrente.

Momentaneo o definitivo non ha importanza ora. La cosa importante è fare un buon lavoro, con la speranza di riuscire a sostenere l’arte che amo, portandola in uno scalino più alto.

di Monica Lubinu