È così. Quando ho un obiettivo faccio di tutto per raggiungerlo.
Elena D'Amario
Tu e Garrison da quanto vi conoscete?
Quasi 7 anni. Sin dal mio primo provino televisivo. Avevo 17 anni e mi accompagnava mia madre per il programma Ballo delle Debuttanti che lui presentava insieme a Rita dalla Chiesa. Vinsi il programma e ricordo che la sera della finale mi disse “Ho una scuola per te”. Si riferiva ad Amici dove già insegnava.
Sono tornata al liceo classico per la maturità e quella stessa estate feci i provini per Amici
Come è iniziata la tua avventura in America?
Partecipai ad Amici perché avevo sentito che per il primo anno avrebbero dato anche ai ballerini dei contratti all’estero. Alla fine del programma David Parson mi offrì una borsa di studio di 2 mesi nella sua compagnia e poi la borsa di studio si è trasformata in un palcoscenico di 6 anni.
Essendo un’apprendista i primi giorni mi hanno praticamente relegata in un angolo dello studio. Mi hanno detto “devi imparare le parti di lei, lei, lei e lei”. Basta.
Ma era un sogno essere li, in quella sala gigantesca, con le vetrate enormi che davano su Manhattan. Neanche nei film avevo visto qualcosa di così spettacolare! Dopo 5 giorni David entrò in studio e mi disse “domani vai in scena”. Mi è preso un colpo ma non potevo neanche farmi capire con il mio inglese basic da liceo classico. Comunicavo solo con dei gran sorrisi!
Così il giorno dopo ci fu il mio primo spettacolo a Bryant Park a Times Square un fantastico palco all’aperto. Li mi ha chiesto se volevo rimanere in pianta stabile. Ovviamente ho detto subito di si, ma è stato lui stesso a suggerirmi di pensarci, prendermi del tempo e parlane con la famiglia. In effetti a casa non hanno fatto salti di gioia. Soprattutto mia madre era preoccupatissima e spaventata per la distanza. Ho deciso di rimanere; dopo 2 anni sono diventata prima ballerina e poi sono iniziati i tour mondiali. L’ultimo tour in Italia di 7 settimane per me è stato particolarmente importante perché ho avuto moto di ballare cougt l’assolo maschile che David aveva creato per lui stesso e che solo 2 donne (me compresa) hanno interpretato.
E’ stato un onore farlo e soprattutto poterlo fare qui in Italia per la mia famiglia e i miei amici.
Solo fortuna o c’è di più?
Prima di arrivare li mi sentivo solo fortunata. Non avevo bisogno di nient’altro. Una volta arrivata ho capito che New York City è una giungla, una lotta alla sopravvivenza e non per la competizione che c’è ma è una competizione sana. La difficoltà maggiore è stata proprio la vita quotidiana. Vivere in un paese che non è il tuo e del quale conosci a stento la lingua. Trovare una casa per esempio. Il primo anno ho fatto otto traslochi da sola di cui 5 nella neve. E’ un po’ tutto una missione. Se non sei un Upper East Sider con i soldi New York non è semplice. Cosa ti fa resistere? Lo scambio, l’arte il fatto che sei appagato professionalmente. Arrivi la sera stremato ma vai a dormire felice. C’è questa pienezza, soddisfazione artistica e professionale e lo scambio nella comunità artistica che non è solo danza ma musica, arti visive. Tutto live e tutto ovunque. Un altro mondo.
Guardando indietro cosa pensi sarebbe accaduto se fossi rimasta in Italia?
Non lo so. Sicuramente artisticamente non sarei cresciuta così tanto. Non avrei neanche potuto immaginare di fare le cose che invece sto facendo e sarebbe stato un peccato, così come è un peccato che in Italia ci siano grandi talenti privi di sbocchi professionali. Qui le opportunità non ci sono.
In America non ho mai visto un posto vuoto in platea e non sto parlando di New York ma di teatri in Oklahoma, Alabama, Missouri dove la mattina ti guardi intorno e dici “ma chi viene a teatro??” E poi la sera è sold out!
C’è fame di arte in America e i ricchi investono sull’arte e sui teatri. Qui purtroppo non è così.
In televisione è lo stesso. Amici è l’unica trasmissione che ti da l’opportunità non di ballare ma di danzare. L’unico perché il corpo il corpo di ballo come quello del varietà anni 80 non esiste più.
Quanto è stato importante Amici per te?
All’epoca è stato il trampolino di lancio. Mi ha fatta conoscere al pubblico, mi ha dato notorietà. Ha rappresentato il punto di svolta. E lo rappresenta anche ora. Ho incontrato David Parsons qui. Opportunità che è stata data anche ad altri ma che non hanno onorato. E con tanti sacrifici, piano piano i risultati e le soddisfazioni sono arrivate. A Maria devo anche questo. Chiedermi di rientrare al momento giusto.
Il talento è importante ma il senso del tempo lo è ancora di più. Sapere qual è il momento giusto per fare una cosa. Erano tre anni che volevo tornare a casa anche per stare vicino alla mia famiglia. Tre anni durante i quali ho fatto cougt e sono uscita sul New York Times.
E poi è importante cambiare. Per esempio adesso non vedo l’ora di tornare in compagnia, non vedo l’ora che inizi il serale perché lavorare con nuovi coreografi è sempre stimolante.
Cosa serve per emergere in questo mondo?
Per vivere di danza oltre a quello che ho già detto serve una predisposizione verso gli altri grandissima, una generosità immensa, cosa che purtroppo è rara. Devi essere pronta a darti totalmente al coreografo. Alcuni danzatori sono un po’ restii a condividere le loro idee. Con David quando crea do tutto me stessa, anche le mie idee. Magari vengono da me 18 otto ma la coreografia è sua perché è lui che aggiunge quel particolare che rende il tutto geniale.
Serve poi un grande senso del lavoro e del sacrificio. E poi l’umiltà, mantenendo comunque la propria personalità. I coreografi hanno un grande ego e siamo proprio noi ad alimentarlo. Dobbiamo essere pronti ad amare questo aspetto ma mantenendo sempre la nostra dignità senza raggiungere il conflitto. Perché dobbiamo prenderci cura di noi stessi.
I ballerini spesso vivono il momento ma hanno scarsa visione del futuro. Tu stai pensando a cosa farai dopo?
Non ci penso attivamente ma sento che il percorso che sto facendo sta anche preparando il mio futuro. David in questi anni mi sta forgiando all’insegnamento e io amo profondamente insegnare, creare e coreografare. E credo che per chi vuole rimanere in questo ambito sia una transizione naturale.
Non è detto però che un bravo ballerino sia un bravo insegnante
Assolutamente. Ma secondo me dipende sempre dalla generosità. Tanti ballerini ed ex ballerini insegnano ma con un attegiamento un po’ distaccato quasi di superiorità. Lo trovo sbagliato. La modalità di insegnamento cambia con l’età. Per quanto mi riguarda quando mi capita di insegnare ora che sono giovane è proprio un ballare insieme. Il mio obiettivo, e spero veramente di raggiungerlo, è quello di arrivare a insegnare ma non come ripiego. Senza risentimento, senza frustrazione ma solo con l’obiettivo, la gioia e il piacere di dare. Ma per dare devi aver ottenuto prima…
Quali progetti lavorativi hai per il futuro?
Per adesso sono presa da questa nuova avventura di Amici, fra un po’ inizierà anche il serale.
Poi tornerò a New York a lavorare in compagnia. Tra l’altro è in programma un nuovo tour italiano di 9 settimane e mezzo che voglio assolutamente fare.
C’è poi l’Alvin Ailey Dance Theatre con il quale abbiamo un progetto in cantiere.
Teatro o televisione?
Teatro! Questo lo dico d’istinto. Un danzatore può vivere di danza solo in teatro. La televisione la sto facendo, è un posto magico, bellissimo, mi piace, mi diverte, mi fa guadagnare ma il teatro mi fa andare a dormire felice, soddisfatta…distrutta, rotta ma appagata. La danza va vista live. Io sono arrivata al teatro ma partendo dalla televisione ed è stata una scuola formidabile. Qui si imparano le coreografie in 3 secondi e quando sono arrivata in America questa è stata la mia marcia in più. David mi diceva “God you are so fast!”. Anche in una audizione è importante imparare e memorizzare tutto velocemente. Questo la televisione te lo insegna.
Hai un sogno nel cassetto?
Riguarda la sfera personale. Spero di trovare l’amore, creare una bella famiglia e riuscire a conciliare vita familiare e lavoro.
E per finire chi è per te Garrison Rochelle?
Garrison per me è Peter Pan con la differenza che Peter Pan vola. Garrison vola e danza.
Garrison per me è l’esperienza di chi fa questo lavoro da una vita ma deve cominciare domani.
Garrison per me è un professionista unico e non perde mai la gioia, la leggerezza e la purezza di essere danza perché la danza si è e non si fa.
Garrison per me è l’antitesi della mia vita. Lui ha trovato l’America in Italia; io ho dovuto lasciare dolorosamente l’Italia per trovare l’America.
Garrison per me è il sacrificio che parte dalla perdita. La perdita della sicurezza, del denaro e della comodità.
Garrison per me è l’umiltà di chi ringraziava da ragazzo per un pasto caldo che gli desse energia e non l’ha mai rinfacciato a nessuno, anche ora che potrebbe. Mai far pesare all’allievo la vita difficile che il Maestro ha avuto!
Garrison per me è quello che mi dice di mettere lo scotch alle finestre quando passa l’uragano (Durante l’uragano Sandy Garrison mi chiamò dopo tre mesi che non lo sentivo per dirmi “Sweety metti un po’ di scotch alle finestre!!”)
Garrison per me è una stella polare che fa un arabesque nel momento in cui mi sento più sola.
Garrison per me c’è sempre e c’è sempre stato. Perché se c’è una cosa che la danza ci insegna è il senso di ensemble. Io con lui mi sento una squadra. E’ la certezza di una presa dalla quale non voglio staccarmi.
Garrison per me è un bambino innamorato e coraggioso. Ama l’arte e non si vergogna della sua sensibilità. MAI. Si commuove, piange, si arrabbia ed è un performer che non finisce mai.
Garrison per me è un salto magico. Parte dal palco e finisce nei sogni.